Il direttore del Fmi: la crisi in Europa è ancora forte, la ripresa stenta
La crisi in Europa “è ancora forte” e la ripresa “stenta”. Lo ha detto il direttore
del Fondo monetario internazionale (Fmi), Dominique Strauss-Kahn, nel corso di una
conferenza in India. Ha anche affermato che i prossimi direttori di Fmi e Banca mondiale
non dovrebbero provenire nè dall'Europa nè dagli Stati Uniti. Fino ad oggi, in base
ad un accordo informale, a guidare le due istituzioni internazionali sono stati americani
ed europei. Proprio questa mattina, l’Eurostat ha diffuso i dati del Prodotto interno
lordo (pil) nella zona Euro, che cresce dello 0,4% nel terzo trimestre e dell'1,9%
su base annuale. Differenze notevoli, però, sono da segnalare tra la Germania, il
cui il pil è salito dello 0,7%, e la Grecia, dove scende dell’1,1%. Per una lettura
del fenomeno, Eugenio Bonanata ha intervistato l’economista Riccardo Moro:
R. – Il primo
dato è sicuramente quello di un continente che ha molte differenze al proprio interno
e che risponde con una certa fatica alla crisi. Il trend complessivo annuale di 1.9
è positivo, tuttavia inferiore a quello di altre aree del pianeta, in modo particolare
a quello dei Paesi emergenti, ma anche quello dei Paesi a minor reddito.
D.
– Quali sono le previsioni per il futuro?
R. – Le previsioni per i prossimi
due anni segnalano un trend non così positivo per la Germania. Si prevede cioè un
dato molto positivo dovuto fondamentalmente alle esportazioni tedesche ed un dato
nel complesso un po' migliore per gli altri Paesi. Il che potrebbe farci pensare ad
un equilibrio, una convergenza maggiore tra i Paesi. Detto in sintesi: la crisi non
è finita - questi dati infatti lo dimostrano - però ci avviamo verso una risalita.
Non velocissima ma verso una risalita, con delle differenze pesanti oggi e probabilmente
con una maggiore uniformità domani.
D. – Qual è stata, fino ad ora,
secondo lei, la risposta europea alla crisi?
R. – Sono un pò severo.
Secondo me, soprattutto nei mesi scorsi, non c’è stata una buona risposta. I leader
non hanno dimostrato quello che una volta si chiamava “senso dello Stato” – che serve
tanto anche oggi – laddove dev’essere chiaro che per “Stato”, oggi, dobbiamo intendere
Europa. Ci sono state delle gelosie – anche pesanti – abbiamo consentito che per sette
mesi si parlasse della possibilità di uscire dall’euro e quindi di chiudere l’esperienza
della moneta unica, quando sappiamo tutti che ad esempio non esiste clausola, nell’accordo
che ha creato l’euro, che consenta di terminare quest’esperienza. Cioè: abbiamo parlato
di una cosa che non esisteva.
D. – Ma chi ci ha guadagnato?
R.
– Abbiamo fatto un regalo straordinario agli speculatori grazie alle lentezze con
cui si è giunti, finalmente, a costituire uno strumento ordinario d’intervento nelle
situazioni di crisi. Oggi, quello strumento c’è, lo si sta usando con l’Irlanda, è
disponibile per il Portogallo ed eventualmente la Spagna, governi nazionali si stanno
attrezzando per riforme che certamente comportano una fatica in termini di consenso
politico ma mi sembra che si stia rispondendo meglio. Il fatto è che, onestamente,
non sembra emergere, neanche dopo questi errori, una leadership con un’autorevolezza
tale da permettere di catalizzare intorno a sé fiducia e consenso, sia dal punto di
vista politico sia dal punto di vista finanziario.