Il Convegno di Scienza e Vita a 10 anni dal sequenziamento del genoma umano
Si chiude oggi a Roma, presso il centro Congressi della Cei, la due giorni di lavori
dell’Associazione Scienza e Vita. L’assemblea vede riuniti oltre cento delegati locali
di tutta Italia per discutere le prossime iniziative. Questa mattina, è stata dedicata
al tema “Dieci anni dopo il sequenziamento del genoma umano” con la relazione del
prof. Bruno Dallapiccola, direttore scientifico dell’ospedale pediatrico Bambino
Gesù di Roma. Luca Collodi lo ha intervistato per conoscere lo stato della
ricerca sulla codifica del Dna umano, a dieci anni da quella che fu salutata come
una grande conquista della scienza:
R. – Diciamo
che nessuno può mettere in dubbio che si trattasse di una scoperta e di un processo
che ha comportato una serie di investimenti straordinari di grandissima rilevanza.
Però, forse la sintesi di tutto questo potrebbe essere letta in due articoli che sono
usciti all’indomani dell’annuncio su un celebre giornale italiano che, a tutta pagina,
titolava: “La più grande scoperta dell’umanità”, e nella pagina 3, invece, in un’intervista
fatta al sottoscritto dicevo: “Italiani, state tranquilli, nei prossimi 20 anni non
cambierà la vita di nessuno”. Badi bene, non è che io non voglia esprimere il grande
entusiasmo dietro a questo processo che ha costituito soprattutto uno strumento straordinario
per entrare in un nuovo mondo della ricerca, cioè affrontare la ricerca con modalità,
con tempi, con tecnologie completamente nuovi. In effetti, non è vero che non ci siano
già state delle ricadute sulla popolazione, però qualcuno si era aspettato risultati
transnazionali maggiori, al letto del paziente, rispetto a quelli che poi, in effetti,
ci sono stati. Dunque, è stato un successo enorme e un qualcosa che ha dato uno strumento
di lavoro sul quale ora tutti stiamo operando. Forse, qualcuno si aspettava di più...
D.
– C’è stata, però, anche una comunicazione che ha lasciato credere al cittadino che
dalla genetica potesse arrivare una sorta di panacea per risolvere tanti problemi
nel campo delle malattie umane. Questo non è stato. Allora emergono due problemi:
il business che gira anche intorno alla ricerca sul genoma, e la comunicazione che
arriva al cittadino…
R. – La grande attesa che si aveva dal progetto
genoma era di aiutarci a capire le malattie complesse. Sono stati fatti investimenti
poderosi, per compiere l’analisi completa del genoma nei pazienti che hanno malattie
comuni come l’ipertensione, le malattie cardiovascolari, il diabete di tipo 2… I risultati
che sono venuti fuori sono veramente disarmanti. Le conclusioni di questi studi sono
state che è vero che c’è una componente genetica, ma è più importante controllare
l’ambiente, per cui il diabete lo controlliamo meglio ad esempio con la dieta, con
lo stile di vita piuttosto che preoccuparci di una possibile suscettibilità genetica.
In altre parole, il peso delle conoscenze genetiche è ancora troppo piccolo, e noi
ci auguriamo che possa aumentare con nuovi studi, che verranno fatti nei prossimi
anni. Qual è il problema, però? Queste scoperte, che sono ancora in fieri,
già vengono prese dalla commercializzazione con la promessa e quindi la vendita di
test, che in realtà non producono grandi benefici per paziente, a fronte, per lui,
di costi elevati. L’area commerciale è prontissima a captare tutto quello che potrebbe
incuriosire il paziente. Una non corretta informazione, che viene veicolata attraverso
i media, è responsabilità dei ricercatore, che enfatizza risultati che dovrebbe tenere
nel cassetto: probabilmente, bisognerebbe essere un pochino più prudenti quando si
fanno determinate affermazioni. Nel 2006, la Commissione di genetica del Regno Unito
ha pubblicato un bellissimo documento la cui sintesi era: ricercatori e divulgatori,
attenti a non dire cose troppo enfatizzate rispetto alle ricerche che state compiendo.
A luglio, il Comitato nazionale per la bioetica e il Comitato per la biosicurezza
e le biotecnologie hanno preparato un documento importante che richiede esattamente
le stesse cautele sull’uso di questi test. Mi sembra, però, che questi documenti non
abbiano la divulgazione che meriterebbero di avere e non abbiano l’impatto sull’opinione
pubblica che dovrebbero avere. (gf)