2010-11-22 15:01:37

L'Europa e la moneta unica nell'epoca della crisi. L'opinione dell'esperto, Paolo Savona


Dopo la crisi greca, l’economia europea è ora colpita anche da quella irlandese. Di fronte a questi nuovi squilibri ci si interroga, in particolare, sul ruolo della moneta unica, l’euro, nel contesto di un mercato complesso come quello comunitario. Secondo alcuni economisti, il ritorno alla moneta unica nazionale potrebbe portare diversi Paesi ad un rilancio di competitività, grazie ad un cambio più favorevole. Ma quanto è realistico pensare ad un abbandono dell’euro? Risponde al microfono di Luca Collodi, il prof. Paolo Savona, economista e preside della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università “Guglielmo Marconi” di Roma:RealAudioMP3

R. – Il problema è se questa sia una scelta o se sia un risultato inevitabile, che emergerà - prima o dopo - se non si passa all’unione politica.

D. – Lei non esclude l’evenienza di tornare alla lira, al marco, al franco e ad altre monete europee?

R. – Un Paese serio - come io penso che sia tuttora il nostro Paese - deve avere un programma, un’ipotesi, un "piano B", che preveda anche questa possibilità. Non è detto che non ci sia, noi non lo sappiamo. Io sollecito, quindi, le autorità dicendo: dove necessario, noi siamo pronti a fronteggiare un evento di questa natura. A mio avviso, bisognerebbe aprire un serio dibattito: l’euro è stato creato con l’idea che dovesse essere il veicolo principale per l’unione politica. Questo, a mio avviso, non si è realizzato. Non si è realizzato soprattutto per quei Paesi che hanno respinto la costituzione proposta un paio di anni fa: tra questi c’è la Francia, ancor prima della Germania. C’è, poi, la Germania che non sembra avere la volontà di legare le proprie sorti a quelle del resto d’Europa. Quindi, sempre secondo me, è stato violato lo spirito con cui è stato creato l’euro.

D. – Non c’è, in questa Unione Europea, un’idea un po’ troppo grande di Europa, che non ha poi riscontro nella percezione dei singoli popoli europei, ancora legati a una visione nazionale?

R. – Questo oggi è vero. Ed è per questo che io pongo il dibattito: chiedo cioè di dibattere sulle condizioni in base alle quali stiamo in Europa e sulle prospettive che l’Europa ci offre. In passato non era così e allora la domanda che ci si pone è: come mai l’idea di Europa - l’idea cioè che avevano i padri fondatori, ovvero quella di creare un'unione politica europea - non si è poi realizzata? Il motivo, per me, è che lo stesso euro e il Trattato di Maastricht poggiavano su un documento che sosteneva che se avessimo sottoscritto il Trattato, ci sarebbe stato un incremento dello sviluppo nell’ordine del quattro per cento: questo, però, non si è mai realizzato. Stiamo navigando all’uno per cento e navigare all’uno per cento significa che perdiamo posti di lavoro: gli economisti hanno stimato che per difendere il livello di occupazione bisogna crescere al tre per cento, che è, in effetti, l’obiettivo minimo che hanno oggi gli Stati Uniti. Non è possibile allora mandare un messaggio, dicendo al popolo che deve votare, ma che una parte – oggi siamo già al dieci per cento – rimarrà senza lavoro, tanto più - ahimè - che questa parte è rappresentata proprio dai giovani. Il discorso è molto grave. Io capisco che il dibattito italiano è sovrastato di problemi interni, ma i pericoli non vengono dall’interno, perché - prima o dopo - sistemeremo questi problemi interni. I pericoli vengono dall’esterno e, quindi, occorre un serio dibattito. (ma)







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