Il criterio della grandezza non è il dominio ma il servizio: così il Papa al Concistoro
per la creazione di 24 nuovi cardinali
“Il criterio della grandezza e del primato secondo Dio non è il dominio, ma il servizio”:
è quanto ha affermato stamani Benedetto XVI nella Basilica di San Pietro durante il
Concistoro ordinario pubblico per la creazione di 24 nuovi cardinali. “La diaconia
– ha proseguito - è la legge fondamentale del discepolo e della comunità cristiana,
e ci lascia intravedere qualcosa della ‘Signoria di Dio’. E Gesù indica anche il punto
di riferimento: il Figlio dell’uomo, che è venuto per servire; sintetizza cioè la
sua missione sotto la categoria del servizio, inteso non in senso generico, ma in
quello concreto della Croce, del dono totale della vita come ‘riscatto’, come redenzione
per molti, e lo indica come condizione per la sequela. E’ un messaggio che vale per
gli Apostoli, vale per tutta la Chiesa, vale soprattutto per coloro che hanno compiti
di guida nel Popolo di Dio. Non è la logica del dominio, del potere secondo i criteri
umani, ma la logica del chinarsi per lavare i piedi, la logica del servizio, la logica
della Croce che è alla base di ogni esercizio dell’autorità”. Ecco il testo dell’omelia:
Signori Cardinali, venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio, cari
fratelli e sorelle! Il Signore mi dona la gioia di compiere,
ancora una volta, questo solenne atto, mediante il quale il Collegio Cardinalizio
si arricchisce di nuovi Membri, scelti dalle diverse parti del mondo: si tratta di
Pastori che governano con zelo importanti Comunità diocesane, di Presuli preposti
ai Dicasteri della Curia Romana, o che hanno servito con esemplare fedeltà la Chiesa
e la Santa Sede. Da oggi, essi entrano a far parte di quel coetus peculiaris, che
presta al Successore di Pietro una collaborazione più immediata e assidua, sostenendolo
nell’esercizio del suo ministero universale. A loro, anzitutto, rivolgo il mio affettuoso
saluto, rinnovando l’espressione della mia stima e del mio vivo apprezzamento per
la testimonianza che rendono alla Chiesa e al mondo. In particolare, saluto l’Arcivescovo
Angelo Amato e lo ringrazio per le gentili espressioni che mi ha indirizzato. Porgo,
poi, il mio cordiale benvenuto alle Delegazioni ufficiali di vari Paesi, alle Rappresentanze
di numerose diocesi, e a quanti sono qui convenuti per partecipare a questo evento,
durante il quale questi venerati e cari Fratelli ricevono il segno della dignità cardinalizia
con l’imposizione della berretta e l’assegnazione del Titolo di una chiesa di Roma. Il
vincolo di speciale comunione e affetto, che lega questi nuovi Cardinali al Papa,
li rende singolari e preziosi cooperatori dell’alto mandato affidato da Cristo a Pietro,
di pascere le sue pecore (cfr Gv 21,15-17), per riunire i popoli con la sollecitudine
della carità di Cristo. E’ proprio da questo amore che è nata la Chiesa, chiamata
a vivere e camminare secondo il comandamento del Signore, nel quale si riassumono
tutta la legge e i profeti. Essere uniti a Cristo nella fede e in comunione con Lui
significa essere “radicati e fondati nella carità” (Ef 3,17), il tessuto che unisce
tutte le membra del Corpo di Cristo. La parola di Dio appena
proclamata ci aiuta a meditare proprio su questo aspetto così fondamentale. Nel brano
del Vangelo (Mc 10,32-45) viene posta davanti ai nostri occhi l’icona di Gesù come
il Messia - preannunziato da Isaia (cfr Is 53) - che non è venuto per farsi servire,
ma per servire: il suo stile di vita diventa la base dei nuovi rapporti all’interno
della comunità cristiana e di un modo nuovo di esercitare l’autorità. Gesù è in cammino
verso Gerusalemme e preannunzia per la terza volta, indicandola ai discepoli, la via
attraverso la quale intende portare a compimento l’opera affidatagli dal Padre: è
la via dell’umile dono di sé fino al sacrificio della vita, la via della Passione,
la via della Croce. Eppure, anche dopo questo annuncio, come è avvenuto per i precedenti,
i discepoli rivelano tutta la loro fatica a comprendere, a operare il necessario “esodo”
da una mentalità mondana alla mentalità di Dio. In questo caso sono i due figli di
Zebedeo, Giacomo e Giovanni, che chiedono a Gesù di sedere ai primi posti accanto
a lui nella “gloria”, manifestando attese e progetti di grandezza, di autorità, di
onore secondo il mondo. Gesù, che conosce il cuore dell’uomo, non rimane turbato per
questa richiesta, ma ne mette subito in luce la portata profonda: “voi non sapete
quello che chiedete”; poi guida i due fratelli a comprendere che cosa comporta mettersi
alla sua sequela. Qual è allora la via che deve percorrere
chi vuole essere discepolo? E’ la via del Maestro, è la via della totale obbedienza
a Dio. Per questo Gesù chiede a Giacomo e a Giovanni: siete disposti a condividere
la mia scelta di compiere fino in fondo la volontà del Padre? Siete disposti a percorrere
questa strada che passa per l’umiliazione, la sofferenza e la morte per amore? I due
discepoli, con la loro risposta sicura, “lo possiamo”, mostrano, ancora una volta,
di non aver capito il senso reale di ciò che prospetta loro il Maestro. E di nuovo
Gesù, con pazienza, fa compiere loro un passo ulteriore: neppure sperimentare il calice
della sofferenza e il battesimo della morte dà diritto ai primi posti, perché ciò
è “per coloro per i quali è stato preparato”, è nelle mani del Padre Celeste; l’uomo
non deve calcolare, deve semplicemente abbandonarsi a Dio, senza pretese, conformandosi
alla sua volontà.
L’indignazione degli altri discepoli diventa occasione
per estendere l’insegnamento all’intera comunità. Anzitutto Gesù “li chiamò a sé”:
è il gesto della vocazione originaria, alla quale li invita a ritornare. E’ molto
significativo questo riferirsi al momento costitutivo della vocazione dei Dodici,
allo “stare con Gesù” per essere inviati, perché ricorda con chiarezza che ogni ministero
ecclesiale è sempre risposta ad una chiamata di Dio, non è mai frutto di un proprio
progetto o di una propria ambizione, ma è conformare la propria volontà a quella del
Padre che è nei Cieli, come Cristo al Getsèmani (cfr Lc 22,42). Nella Chiesa nessuno
è padrone, ma tutti sono chiamati, tutti sono inviati, tutti sono raggiunti e guidati
dalla grazia divina. E questa è anche la nostra sicurezza! Solo riascoltando la parola
di Gesù, che chiede “vieni e seguimi”, solo ritornando alla vocazione originaria è
possibile intendere la propria presenza e la propria missione nella Chiesa come autentici
discepoli.
La richiesta di Giacomo e Giovanni e l’indignazione degli
“altri dieci” Apostoli sollevano una questione centrale a cui Gesù vuole rispondere:
chi è grande, chi è “primo” per Dio? Anzitutto lo sguardo va al comportamento che
corrono il rischio di assumere “coloro i quali sono considerati i governanti delle
nazioni”: “dominare ed opprimere”. Gesù indica ai discepoli un modo completamente
diverso: “Tra voi, però, non è così”. La sua comunità segue un’altra regola, un’altra
logica, un altro modello: “Chi vuole diventare grande tra di voi sarà vostro servitore,
e chi vuole essere il primo tra di voi sarà schiavo di tutti”. Il criterio della grandezza
e del primato secondo Dio non è il dominio, ma il servizio; la diaconia è la legge
fondamentale del discepolo e della comunità cristiana, e ci lascia intravedere qualcosa
della “Signoria di Dio”. E Gesù indica anche il punto di riferimento: il Figlio dell’uomo,
che è venuto per servire; sintetizza cioè la sua missione sotto la categoria del servizio,
inteso non in senso generico, ma in quello concreto della Croce, del dono totale della
vita come “riscatto”, come redenzione per molti, e lo indica come condizione per la
sequela. E’ un messaggio che vale per gli Apostoli, vale per tutta la Chiesa, vale
soprattutto per coloro che hanno compiti di guida nel Popolo di Dio. Non è la logica
del dominio, del potere secondo i criteri umani, ma la logica del chinarsi per lavare
i piedi, la logica del servizio, la logica della Croce che è alla base di ogni esercizio
dell’autorità. In ogni tempo la Chiesa è impegnata a conformarsi a questa logica e
a testimoniarla per far trasparire la vera “Signoria di Dio”, quella dell’amore.
Venerati
Fratelli eletti alla dignità cardinalizia, la missione, a cui Dio vi chiama quest’oggi
e che vi abilita ad un servizio ecclesiale ancora più carico di responsabilità, richiede
una volontà sempre maggiore di assumere lo stile del Figlio di Dio, che è venuto in
mezzo a noi come colui che serve (cfr Lc 22,25-27). Si tratta di seguirlo nella sua
donazione d’amore umile e totale alla Chiesa sua sposa, sulla Croce: è su quel legno
che il chicco di frumento, lasciato cadere dal Padre sul campo del mondo, muore per
diventare frutto maturo. Per questo occorre un radicamento ancora più profondo e saldo
in Cristo. Il rapporto intimo con Lui, che trasforma sempre di più la vita in modo
da poter dire con san Paolo “non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20), costituisce
l’esigenza primaria perché il nostro servizio sia sereno e gioioso e possa dare il
frutto che si attende da noi il Signore. Cari fratelli e sorelle,
che oggi fate corona ai nuovi Cardinali: pregate per loro! Domani, in questa Basilica,
durante la concelebrazione nella solennità di Cristo Re dell’universo, consegnerò
loro l’anello. Sarà un’ulteriore occasione nella quale “lodare il Signore, che rimane
fedele per sempre” (Sal 145), come abbiamo ripetuto nel Salmo responsoriale. Il suo
Spirito sostenga i nuovi Porporati nell’impegno di servizio alla Chiesa, seguendo
il Cristo della Croce anche, se necessario, usque ad effusionem sanguinis, pronti
sempre – come ci diceva san Pietro nella lettura proclamata – a rispondere a chiunque
ci domandi ragione della speranza che è in noi (cfr 1Pt 3,15). A Maria, Madre della
Chiesa, affido i nuovi Cardinali e il loro servizio ecclesiale, affinché, con ardore
apostolico, possano proclamare a tutte le genti l’amore misericordioso di Dio. Amen.