Migrazioni. Mons. Tomasi: necessarie soluzioni umane che rispettino la dignità di
ogni persona
“Restituire la dignità, ispirare il cambiamento”. Inaugurati ieri sera a Roma i lavori
della Commissione internazionale cattolica per le migrazioni (Icmc). Delegati delle
Conferenze episcopali del mondo intero chiamati a dibattere fino a sabato prossimo
su come rispondere alle sfide della mobilità umana. Ceata nel 1951 da Pio XII, all’indomani
della fine della II Guerra mondiale, la Commissione si appresta a festeggiare 60 anni
di attività. Roberta Gisotti ha intervistato l’arcivescovo Silvano Tomasi,
osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio Onu a Ginevra.
D. - Eccellenza,
gli scenari della mobilità sono certo del tutto cambiati oggi rispetto gli anni di
fondazione. Ma pure gli immigrati continuano ad essere soggetti deboli, anche più
deboli se irregolari rispetto al passato. Che cosa deve ispirare allora il cambiamento?
R.
– Oggi, secondo i dati delle Nazioni Unite, ci sono almeno 214 milioni di persone
che vivono e lavorano in un Paese diverso da quello in cui sono nate. Mentre alla
fine della Seconda guerra mondiale la preoccupazione era di trovare una sistemazione
per i rifugiati e i profughi, che erano stati le vittime di questo conflitto, adesso
si tratta di trovare soluzioni nuove per vedere come gestire queste masse enormi di
persone, che si spostano per motivi di lavoro, per motivi di fame, a motivo del clima.
Quindi, bisogna fare un salto di qualità in qualche modo: cioè, ispirare i governi
e, soprattutto, la comunità internazionale a mettersi d’accordo per convergere su
soluzioni umane e rispettose della dignità di queste persone, che portano un grande
servizio nei Paesi in cui vanno. Infatti, contribuiscono con la loro intelligenza
e il loro lavoro allo sviluppo e, con i soldi che mandano alle famiglie lasciate indietro
o ai Paesi di origine, aiutano lo sviluppo anche di questi Paesi. Dobbiamo veramente
creare una prospettiva nuova: vedere come si può incanalare questa energia umana e
questa energia economica verso il bene comune.
D. – C’è da dire che
nuove forme di immigrazione di oggi, portate dall’Europa allargata dalla globalizzazione
dei mercati e dall’emergere delle economie asiatiche, hanno indotto nelle popolazioni
dei Paesi ospiti nuove paure, di essere soppiantate nelle proprie sicurezze economiche
…
R. – Però c’è una contraddizione, perché da una parte alcune economie,
come le economie europee hanno, di fatto, bisogno di manodopera e dall’altra c’è una
opinione popolare contraria che vede nella presenza di costumi, di tradizioni, di
culture diverse una minaccia all’identità e alla convivenza. Quindi, c’è da mettere
insieme la creatività di tutti i Paesi per trovare una soluzione comune, in modo da
rendere costruttivo per tutti l’apporto che danno queste masse di immigrati, senza
che venga percepito come una minaccia: per questo c’è un processo di adattamento reciproco
che deve maturare. I nuovi arrivati devono accettare alcuni valori base che sono nelle
democrazie occidentali: soprattutto, il valore della libertà, dell’uguaglianza della
donna, della libertà religiosa e così via, in modo che la convivenza si renda possibile.