Il Concilio Vaticano II, bussola del Terzo millennio
Nella nostra rubrica dedicata al Concilio Vaticano II oggi parliamo della questione
della riforma della Chiesa. Un argomento che continua a suscitare vivaci dibattiti.
Benedetto XVI afferma che il “sempre necessario rinnovamento della Chiesa” deve avvenire
nella continuità: la Chiesa “è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo
però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino”. Ascoltiamo in
proposito la riflessione del padre gesuita Dariusz Kowalczyk, docente di Teologia
dogmatica alla Pontificia Università Gregoriana:
Dopo che
Papa Giovanni XXIII aveva convocato il Concilio e lo aveva spinto al famoso “aggiornamento”
della fede, tra i Padri conciliari “era maturata – come ha detto Joseph Ratzinger
– una forte volontà di rischiare qualcosa di nuovo, uscendo dagli schemi scolastici
già avviati, rischiando anche una nuova libertà”. Si sentiva la speranza e il desiderio
di rinnovare la Chiesa, di fare una riforma secondo la locuzione latina “Ecclesia
semper reformanda”, cioè la Chiesa è sempre bisognosa di riforme. Ma in che cosa
consiste la riforma della Chiesa? Il padre Yves Congar pubblicò nel 1950 il famoso
testo: “Vera e falsa riforma nella Chiesa”. Dunque, non ogni riforma porta frutti
buoni. Non ogni cambiamento (o novità) è per il bene della Chiesa. Giovanni XXIII
nel discorso di apertura del Vaticano II ricordò che “altra è la sostanza dell’antica
dottrina del depositum fidei e altra è la formulazione del suo rivestimento”.
Le parole del Papa fanno pensare a quel detto evangelico “il padrone di casa estrae
dal suo tesoro cose nuove e cose antiche” (Mt 13,52). Ogni vera riforma della Chiesa
consiste nel ritrovare un equilibrio tra ciò che si può e dovrebbe cambiare e ciò
che è inalterabile, tra novità e ciò che va ripreso e continuato. Congar nel suo testo
sulla riforma della Chiesa, ri-edito nel 1968, scrisse: “Si richiede che l'aggiornamento
conciliare [...] si spinga fino ad un totale radicalismo evangelico e all'invenzione,
ad opera della Chiesa, d'un modo d'essere, di parlare d'impegnarsi, che risponda alle
esigenze di un totale servizio evangelico al mondo”. Ecco, la riforma consiste – e
così la comprendevano i Padri conciliari – in una radicalizzazione della fede nel
servizio al mondo che cambia. Purtroppo in alcuni ambienti della Chiesa la riforma
è stata compresa in maniera sbagliata, cioè limitata semplicemente alle facilitazioni
e agli adattamenti. Joseph Ratzinger parlava addirittura di un “annacquamento della
fede”. Allora, se torniamo al Vaticano II e ci interroghiamo sulla riforma iniziata
dal Concilio, la questione non è come mettersi comodi e rendere il cattolicesimo più
facile, ma come vivere ancor di più la fede cattolica.