La famiglia della donna condannata a morte in Pakistan per blasfemia presenta ricorso.
Il vescovo di Faisalabad assicura l’impegno della Chiesa per salvarle la vita
La famiglia di Asia Bibi, la donna cristiana condannata a morte per blasfemia in Pakistan,
ha presentato ufficialmente il ricorso contro la pena capitale. Intanto si moltiplicano
gli appelli per salvarle la vita. Dalle pagine dell’Osservatore Romano il vescovo
di Faisalabad, mons. Coutts, assicura l’impegno della Chiesa per sostenere la famiglia
di Asia e tutte le altre famiglia colpite da questa legge. Il servizio di Cecilia
Seppia:
Dopo
la sentenza di condanna a morte per blasfemia, emessa dal giudice del distretto di
Nankana, lo scorso lunedì, la famiglia di Asia Bibi, ha presentato ricorso all'Alta
Corte di Lahore. “Siamo disposti a tutto, perché nostra figlia abbia giustizia” dice
il padre della donna. Tra le varie accuse contro questa operaia agricola, c’è quella,
riportata dalle sue stesse colleghe di lavoro, di aver negato l’autorità del profeta
Maometto, ma più volte nelle sue dichiarazioni Asia ha detto che le veniva intimato
di convertirsi all’Islam pena la morte. Come ci si puo' aspettare che una donna non
musulmana segua il credo dei musulmani?'', dice il legale di questa madre cristiana.
L’episodio che ha portato alla condanna risale al giugno del 2009 e Asia Bibi è la
prima donna condannata in Pakistan per questa legge controversa spesso usata dagli
estremisti come pretesto per colpire vittime innocenti. Intanto da più parti si levano
appelli per salvarle la vita. Di oltraggio alla dignità umana e alla verità, parla
l’Osservatore Romano riportando le parole di mons. Peter Jacob segretario esecutivo
della Commissione giustizia e pace della Conferenza Episcopale del Pakistan che ribadisce:
“faremo di tutto perche' il verdetto venga smentito e rovesciato in appello”. A lui
fa eco mons. Joseph Coutts, vescovo di Faisalabad che ha annunciato l'impegno della
Chiesa "per sostenere la famiglia di Asia e tutte le famiglie ingiustamente colpite
da questa legge. Il pericolo ha sottolineato il presule viene dall'abuso di questa
norma. “Chiedendone l'abrogazione, non vogliamo avallare quanti dissacrano il nome
del profeta, ma deploriamo quanto si verifica nell'applicazione della legge. Ogni
scusa e' buona, se si vuole colpire un avversario o un nemico, per accusarlo di blasfemia”.