2010-11-14 13:59:56

La famiglia della donna condannata a morte in Pakistan per blasfemia presenta ricorso. Il vescovo di Faisalabad assicura l’impegno della Chiesa per salvarle la vita


La famiglia di Asia Bibi, la donna cristiana condannata a morte per blasfemia in Pakistan, ha presentato ufficialmente il ricorso contro la pena capitale. Intanto si moltiplicano gli appelli per salvarle la vita. Dalle pagine dell’Osservatore Romano il vescovo di Faisalabad, mons. Coutts, assicura l’impegno della Chiesa per sostenere la famiglia di Asia e tutte le altre famiglia colpite da questa legge. Il servizio di Cecilia Seppia: RealAudioMP3



Dopo la sentenza di condanna a morte per blasfemia, emessa dal giudice del distretto di Nankana, lo scorso lunedì, la famiglia di Asia Bibi, ha presentato ricorso all'Alta Corte di Lahore. “Siamo disposti a tutto, perché nostra figlia abbia giustizia” dice il padre della donna. Tra le varie accuse contro questa operaia agricola, c’è quella, riportata dalle sue stesse colleghe di lavoro, di aver negato l’autorità del profeta Maometto, ma più volte nelle sue dichiarazioni Asia ha detto che le veniva intimato di convertirsi all’Islam pena la morte. Come ci si puo' aspettare che una donna non musulmana segua il credo dei musulmani?'', dice il legale di questa madre cristiana. L’episodio che ha portato alla condanna risale al giugno del 2009 e Asia Bibi è la prima donna condannata in Pakistan per questa legge controversa spesso usata dagli estremisti come pretesto per colpire vittime innocenti. Intanto da più parti si levano appelli per salvarle la vita. Di oltraggio alla dignità umana e alla verità, parla l’Osservatore Romano riportando le parole di mons. Peter Jacob segretario esecutivo della Commissione giustizia e pace della Conferenza Episcopale del Pakistan che ribadisce: “faremo di tutto perche' il verdetto venga smentito e rovesciato in appello”. A lui fa eco mons. Joseph Coutts, vescovo di Faisalabad che ha annunciato l'impegno della Chiesa "per sostenere la famiglia di Asia e tutte le famiglie ingiustamente colpite da questa legge. Il pericolo ha sottolineato il presule viene dall'abuso di questa norma. “Chiedendone l'abrogazione, non vogliamo avallare quanti dissacrano il nome del profeta, ma deploriamo quanto si verifica nell'applicazione della legge. Ogni scusa e' buona, se si vuole colpire un avversario o un nemico, per accusarlo di blasfemia”.








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