2010-11-14 14:00:27

Il cardinale Péter Erdő al termine della Plenaria della Cultura: Internet diffonde molto del messaggio cristiano ma non può trasmettere tutta la ricchezza della fede


Parlare di comunicazione e di linguaggio per i credenti significa “avvicinarsi al mistero stesso di Dio che, nella sua bontà e sapienza, ha voluto rivelarsi e manifestare la sua volontà agli uomini”. Lo ha ricordato Benedetto XVI incontrando ieri i partecipanti all’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura, dedicata proprio al tema ‘Cultura della comunicazione e nuovi linguaggi’. Ma verso quali modalità e strumenti comunicativi, in particolare, è stato posto l’accento dai partecipanti all’Assemblea? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto al cardinale Péter Erdő, presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (Ccee) e membro del Pontificio Consiglio della Cultura:RealAudioMP3

R. - L’accento è stato posto sull’importanza della molteplicità dei linguaggi e sul nostro dovere di trasmettere il buon messaggio, usando tutte le possibilità che l’umanità ha prodotto, produce o produrrà nella sua storia. E’ stata posta l’attenzione sull’importanza delle diverse forme di comunicazione, dei diversi linguaggi, come il cinema, la musica e molti altri. Ma è sempre emerso Internet, perché la trasformazione fondamentale del linguaggio si riscontra in questo ambito.

D. – Dunque è stato approfondito il rapporto tra Chiesa e internet. Quali le istruzioni per l’uso di questo mezzo di comunicazione?

R. – Certamente attraverso Internet, usando le tecniche migliori e le strategie migliori, si può diffondere molto del messaggio del Vangelo. Si può forse correggere anche quel “caos” che si trova nei cervelli riguardo alla religione, alla Bibbia, al rapporto tra scienza e fede … Però dobbiamo sapere anche che tutto il messaggio cristiano non si può trasmettere attraverso Internet, attraverso programmi di tre minuti o attraverso uno spot.

D. – Quali, in particolare, sono i limiti e i rischi del mondo di Internet?

R. - Ci sono degli “schemi” diffusi attraverso Internet. Tra questi, la tensione tra scienza e fede oppure le calunnie sulla Chiesa, sulla storia della Chiesa. E’ possibile, però, riuscire a fare chiarezza utilizzando gli stessi metodi, lavorando su Internet. Ma è impossibile trasmettere tutta la ricchezza della nostra fede attraverso Internet. Ed è anche impossibile stabilire contatti personali se usiamo esclusivamente Internet: le corrispondenze interpersonali, che poi non sono veramente personali, non sostituiscono la reale vita comunitaria che appartiene anche all’esistenza cristiana.

D. – Quali norme e codici di comunicazione deve seguire la Chiesa per trasmettere il messaggio del Vangelo all’uomo contemporaneo?

R. – La Chiesa, come sempre, deve parlare contemporaneamente diverse lingue, ma deve conservare anche la cultura della parola, della scrittura, dell’argomentazione logica. La Chiesa deve, anzi, approfondire e sviluppare queste forme - come ha fatto sempre nella sua storia - usando con piena convinzione e forza, anche le nuove possibilità. Ma deve sempre tenere presenti, però, i limiti connessi con la natura di questo tipo di comunicazione.(bf)

Tra i partecipanti all’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura anche Enzo Bianchi, priore della comunità di Bose, che nel suo intervento dedicato alla ‘comunicazione mistagogica’ ha sottolineato il rischio di una separazione tra comunicazione e comunione. Fabio Colagrande lo ha intervistato:RealAudioMP3

R. – Se la comunicazione mistagogica - cioè questa comunicazione, come indica il termine, che ci porta al mistero – avviene davvero o ci fa comunicare con Dio e ci fa comunicare con gli uomini, allora ci porta alla comunione. In caso contrario credo sia una contraddizione. Non ci può essere all’interno della Chiesa una relazione che non sia comunicativa e che non porti alla comunione.

D. – Questo, a volte, si verifica oggi?

R. – Quando noi trasformiamo, ad esempio, la comunicazione della buona notizia in cattiva comunicazione, quando noi finiamo per impedire di ascoltare davvero ciò che il Signore dice. A volte si verifica che magari finiamo per dire ciò che noi vogliamo dire e non creiamo comunione tra Dio e l’umanità, tra il Signore e il credente, e non la creiamo neanche tra gli uomini.

D. – Ed un altro rischio che lei ha sottolineato è quello di fare troppa retorica sul concetto di bellezza anche quando, ad esempio, si parla di liturgia...

R. – Io credo che oggi si parli in maniera troppo retorica della bellezza. Capisco che la parola sia molto evocativa. Forse, oggi, si ha anche la capacità di dirla e si ha meno pudore. Però la bellezza ha uno statuto particolare. Di per sé la bellezza è un enigma ed è anche ambigua. Può essere una bellezza che ci porta all’idolatria o che ci porta a scoprire Dio. Quindi ci vuole una grande educazione, una grande disciplina, una grande ascesi degli uomini, dei credenti, per capire qual è la bellezza che ci rivela Dio.

D. – Cosa fa bella una liturgia?

R. – Soprattutto se una liturgia ha la capacità di mostrare che Gesù Cristo è presente e la celebra. (ap)

Le difficoltà del linguaggio ecclesiale di comunicare il senso profondo e la bellezza dell’esperienza di fede è stata più volte ricordata nel corso della Plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura. Durante l’Assemblea è stato anche analizzato, tra i vari linguaggi della modernità, quello cinematografico. Su questa forma di comunicazione ascoltiamo, al microfono di Fabio Colagrande, il regista polacco Krzysztof Zanussi, consultore del dicastero:RealAudioMP3

R. – Nella comunicazione sociale, oggi, l’audiovisivo è predominante ed è molto più importante della parola stampata. Ed infatti la laicizzazione del mondo si è compiuta attraverso la parola stampata. Non c’è una ragione sentimentale per lamentare che la parola stampata, la parola scritta adesso passi in secondo piano. Forse è un fatto positivo perché il linguaggio audiovisivo è un linguaggio molto più intuitivo e forse un'intuizione religiosa – l’intuizione del mistero, l’intuizione del sacro – si trasmette tramite audiovisivo in modo più organico che tramite la parola.

D. – A volte, però, c’è l’impressione che ci sia una certa incapacità da parte del mondo cattolico di saper usare questi mezzi …

R. – Questo, sicuramente, è un grande difetto. E’ vero che c’è una certa inerzia, che forse è anche positiva - i tempi della Chiesa sono lunghi - ma è necessario anche conoscere e comprendere questo linguaggio perché i credenti lo usano ogni giorno.(ap)







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