Il cardinale Péter Erdő al termine della Plenaria della Cultura: Internet diffonde
molto del messaggio cristiano ma non può trasmettere tutta la ricchezza della fede
Parlare di comunicazione e di linguaggio per i credenti significa “avvicinarsi al
mistero stesso di Dio che, nella sua bontà e sapienza, ha voluto rivelarsi e manifestare
la sua volontà agli uomini”. Lo ha ricordato Benedetto XVI incontrando ieri i partecipanti
all’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura, dedicata proprio al
tema ‘Cultura della comunicazione e nuovi linguaggi’. Ma verso quali modalità e strumenti
comunicativi, in particolare, è stato posto l’accento dai partecipanti all’Assemblea?
Amedeo Lomonaco lo ha chiesto al cardinalePéter Erdő,
presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (Ccee) e membro del
Pontificio Consiglio della Cultura:
R. - L’accento
è stato posto sull’importanza della molteplicità dei linguaggi e sul nostro dovere
di trasmettere il buon messaggio, usando tutte le possibilità che l’umanità ha prodotto,
produce o produrrà nella sua storia. E’ stata posta l’attenzione sull’importanza delle
diverse forme di comunicazione, dei diversi linguaggi, come il cinema, la musica e
molti altri. Ma è sempre emerso Internet, perché la trasformazione fondamentale del
linguaggio si riscontra in questo ambito.
D. – Dunque è stato approfondito
il rapporto tra Chiesa e internet. Quali le istruzioni per l’uso di questo mezzo di
comunicazione?
R. – Certamente attraverso Internet, usando le tecniche
migliori e le strategie migliori, si può diffondere molto del messaggio del Vangelo.
Si può forse correggere anche quel “caos” che si trova nei cervelli riguardo alla
religione, alla Bibbia, al rapporto tra scienza e fede … Però dobbiamo sapere anche
che tutto il messaggio cristiano non si può trasmettere attraverso Internet, attraverso
programmi di tre minuti o attraverso uno spot.
D. – Quali, in particolare,
sono i limiti e i rischi del mondo di Internet?
R. - Ci sono degli “schemi”
diffusi attraverso Internet. Tra questi, la tensione tra scienza e fede oppure le
calunnie sulla Chiesa, sulla storia della Chiesa. E’ possibile, però, riuscire a fare
chiarezza utilizzando gli stessi metodi, lavorando su Internet. Ma è impossibile trasmettere
tutta la ricchezza della nostra fede attraverso Internet. Ed è anche impossibile stabilire
contatti personali se usiamo esclusivamente Internet: le corrispondenze interpersonali,
che poi non sono veramente personali, non sostituiscono la reale vita comunitaria
che appartiene anche all’esistenza cristiana.
D. – Quali norme e codici
di comunicazione deve seguire la Chiesa per trasmettere il messaggio del Vangelo all’uomo
contemporaneo?
R. – La Chiesa, come sempre, deve parlare contemporaneamente
diverse lingue, ma deve conservare anche la cultura della parola, della scrittura,
dell’argomentazione logica. La Chiesa deve, anzi, approfondire e sviluppare queste
forme - come ha fatto sempre nella sua storia - usando con piena convinzione e forza,
anche le nuove possibilità. Ma deve sempre tenere presenti, però, i limiti connessi
con la natura di questo tipo di comunicazione.(bf)
Tra i partecipanti all’Assemblea
Plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura anche Enzo Bianchi, priore
della comunità di Bose, che nel suo intervento dedicato alla ‘comunicazione mistagogica’
ha sottolineato il rischio di una separazione tra comunicazione e comunione. Fabio
Colagrande lo ha intervistato:
R. – Se la
comunicazione mistagogica - cioè questa comunicazione, come indica il termine, che
ci porta al mistero – avviene davvero o ci fa comunicare con Dio e ci fa comunicare
con gli uomini, allora ci porta alla comunione. In caso contrario credo sia una contraddizione.
Non ci può essere all’interno della Chiesa una relazione che non sia comunicativa
e che non porti alla comunione.
D. – Questo, a volte, si verifica oggi?
R.
– Quando noi trasformiamo, ad esempio, la comunicazione della buona notizia in cattiva
comunicazione, quando noi finiamo per impedire di ascoltare davvero ciò che il Signore
dice. A volte si verifica che magari finiamo per dire ciò che noi vogliamo dire e
non creiamo comunione tra Dio e l’umanità, tra il Signore e il credente, e non la
creiamo neanche tra gli uomini.
D. – Ed un altro rischio che lei ha
sottolineato è quello di fare troppa retorica sul concetto di bellezza anche quando,
ad esempio, si parla di liturgia...
R. – Io credo che oggi si parli
in maniera troppo retorica della bellezza. Capisco che la parola sia molto evocativa.
Forse, oggi, si ha anche la capacità di dirla e si ha meno pudore. Però la bellezza
ha uno statuto particolare. Di per sé la bellezza è un enigma ed è anche ambigua.
Può essere una bellezza che ci porta all’idolatria o che ci porta a scoprire Dio.
Quindi ci vuole una grande educazione, una grande disciplina, una grande ascesi degli
uomini, dei credenti, per capire qual è la bellezza che ci rivela Dio.
D.
– Cosa fa bella una liturgia?
R. – Soprattutto se una liturgia ha la
capacità di mostrare che Gesù Cristo è presente e la celebra. (ap)
Le difficoltà
del linguaggio ecclesiale di comunicare il senso profondo e la bellezza dell’esperienza
di fede è stata più volte ricordata nel corso della Plenaria del Pontificio Consiglio
della Cultura. Durante l’Assemblea è stato anche analizzato, tra i vari linguaggi
della modernità, quello cinematografico. Su questa forma di comunicazione ascoltiamo,
al microfono di Fabio Colagrande, il regista polacco Krzysztof Zanussi,
consultore del dicastero:
R. – Nella
comunicazione sociale, oggi, l’audiovisivo è predominante ed è molto più importante
della parola stampata. Ed infatti la laicizzazione del mondo si è compiuta attraverso
la parola stampata. Non c’è una ragione sentimentale per lamentare che la parola stampata,
la parola scritta adesso passi in secondo piano. Forse è un fatto positivo perché
il linguaggio audiovisivo è un linguaggio molto più intuitivo e forse un'intuizione
religiosa – l’intuizione del mistero, l’intuizione del sacro – si trasmette tramite
audiovisivo in modo più organico che tramite la parola.
D. – A volte,
però, c’è l’impressione che ci sia una certa incapacità da parte del mondo cattolico
di saper usare questi mezzi …
R. – Questo, sicuramente, è un grande
difetto. E’ vero che c’è una certa inerzia, che forse è anche positiva - i tempi della
Chiesa sono lunghi - ma è necessario anche conoscere e comprendere questo linguaggio
perché i credenti lo usano ogni giorno.(ap)