2010-11-13 15:09:46

Myanmar: liberata Aung San Suu Kyi


La comunità internazionale festeggia oggi la liberazione della dissidente birmana Aung San Suu Kyi, avvenuta stamattina dopo 15 anni di arresti domiciliari. La donna ha rivolto poche parole alla folla che l’acclamava davanti alla sua abitazione di Rangoon, chiedendo loro di tornare domani al quartier generale del partito per ascoltare il suo primo discorso ufficiale. La cronaca nel servizio di Eugenio Bonanata:RealAudioMP3

Lavorare assieme per superare le divisioni all’interno dell’opposizione birmana. Questa l’indicazione data da una commossa e raggiante Aung San Suu Kyi che si è affacciata all’esterno della sua abitazione subito dopo la liberazione chiedendo di fare fronte comune contro la giunta militare al potere. Il riferimento è alla fazione scissionista del suo Partito, la Lega Nazionale per la Democrazia, che ha scelto di partecipare alle controverse elezioni, boicottate invece dal resto del movimento politico e ampiamente criticate dalla comunità internazionale. Dai militari nessun commento, mentre dalle cancellerie di tutto il mondo si susseguono le reazioni positive. Il presidente statunitense Barak Obama ha parlato di Aung San Suu Kyi come della “sua eroina” e ha chiesto il rilascio di tutti gli altri oppositori politici nel Paese. A guardare al futuro anche il capo dell’Eliseo, Sarkozy, che ha messo in guardia le autorità del Myanmar contro “qualsiasi restrizione della libertà di movimento o di espressione” della Premio Nobel della Pace. Da Londra, infine, il premier britannico Cameron ha definito tardiva la liberazione, ricordando che “è diventata una parodia destinata soltanto a ridurre al silenzio il popolo birmano”.

Ma per sapere quali sono state le reazioni del popolo birmano dopo la liberazione di Aung San Suu Kyi, Eugenio Bonanata ha intervistato il giornalista Stefano Vecchia, esperto di questioni asiatiche:RealAudioMP3

R. – E’, appunto, una liberazione attesa, con un crescendo spasmodico fin da ieri pomeriggio. In questo momento, evidentemente, oltre alla gioia dei suoi sostenitori, la Birmania si interroga ancora di più sul proprio futuro. Teniamo presente che viene liberata nel momento in cui il Paese si trova a subire le conseguenze delle elezioni di domenica scorsa, guidate dal regime; di conseguenza Aung San Suu Kyi, che ha già detto che si impegnerà ancora per tenere alte le aspettative democratiche del suo Paese, dovrà comunque fare delle scelte.

D. – Aung San Suu Kyi, adesso che è tornata in libertà, troverà un panorama politico decisamente molto diverso: non è più, infatti, la sola voce dell’opposizione birmana …

R. – In un certo senso, sì: formalmente non lo è più; anzi, formalmente si trova a guidare dal punto di vista di leader carismatico, un partito che è stato sciolto dal potere proprio perché non potesse partecipare alle elezioni; hanno invece partecipato fazioni dissidenti del suo partito e altri movimenti che hanno vinto pochissimi seggi, però hanno comunque una presenza in Parlamento. A questo punto, il suo ruolo diventerà quello di raccordo tra un'opposizione più dura, in parte in esilio e in parte nell’illegalità formale, e un'opposizione che ha comunque una presenza minima in Parlamento; e ci sono poi da considerare anche le minoranze etniche e tribali che anche loro hanno alzato la voce in questi giorni, lamentandosi di brogli e lamentandosi del fatto che i propri candidati, che avevano vinto nei seggi dedicati alle minoranze, di fatto poi sono stati esautorati da questo voto. Quindi la loro vittoria è stata in parte cancellata.

D. – C’è da segnalare il silenzio totale delle autorità birmane che, in qualche modo, ha segnato la vigilia di questa liberazione: un silenzio che preoccupa non poco la comunità internazionale. Perché?

R. – La liberazione era attesa ieri, in realtà. Poi, forse è stata bloccata perché probabilmente le autorità birmane hanno cercato fino all’ultimo di barattare la sua libertà con delle concessioni, probabilmente cercando di impedirle – in sostanza – una libertà di movimento successiva alla liberazione. Si vedrà soltanto nelle prossime ore e nei prossimi giorni se questo tentativo ha avuto successo o se la volontà di Aung San Suu Kyi, che si è fortemente opposta a qualsiasi limitazione della propria attività, rimarrà sotto le pressioni del regime.(gf)

Per tracciare un profilo politico di Aung San Suu Kyi e per conoscere meglio le tappe della sua vita, ascoltiamo questo servizio di Salvatore Sabatino:RealAudioMP3

“Daw” vuol dire "signora". I birmani la chiamano così, con rispettoso affetto: quella piccola grande donna, divenuta il simbolo vivente delle aspirazioni democratiche di un intero popolo. Aung San Suu Kyi, leader della Lega Nazionale per la Democrazia, trascorre gli ultimi 15 anni agli arresti domiciliari; i primi in completo isolamento, assistita da due governanti e trascorrendo gran parte del suo tempo da sola, leggendo, studiando il francese e il giapponese e suonando il pianoforte. 65 anni, è figlia del generale Aung San, eroe dell'indipendenza birmana, assassinato dai suoi avversari nel 1947, sei mesi prima della fine del dominio coloniale britannico. Dopo essere stata in India e in Gran Bretagna, dove sposa un accademico inglese, nel 1988 torna in patria per assistere la madre gravemente ammalata, mentre nel Paese studenti e monaci buddisti scendono in strada per chiedere la democrazia, annullata da un colpo di Stato militare, nel 1962. Ispirandosi all’esempio della protesta pacifica del Mahatma Gandhi, padre spirituale dell’indipendenza indiana, Suu Kyi assume presto la guida del movimento, ma i militari rispondono con la legge marziale e la protesta è repressa con brutalità. Più volte arrestata e rilasciata, è insignita del premio Nobel per la pace nel 1991, un anno dopo aver vinto le elezioni, poi annullate dai militari. Una lotta non violenta, la sua, non condivisa da tutti gli esponenti della sua Lega, tanto che un gruppo dissidente ha formato un nuovo partito, presente alle elezioni di domenica scorsa, alle quali Aung San Suu Kyi non ha invece potuto partecipare; elezioni stravinte dall’Usdp, la formazione politica dei militari.







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