Contro la povertà serve una rete di protezione europea. Riunite a Parigi, le Acli
(Associazioni cristiane lavoratori italiani) avanzano proposte per contrastare povertà
e impoverimento nel continente, dove ottantaquattro milioni sono le persone a rischio
di povertà. Particolarmente vulnerabili gli immigrati o chi si sposta per studio.
Alessandro Guarasci:
Il 16 per
cento degli europei ha difficoltà a soddisfare i bisogni primari. Siamo nell’anno
dedicato alla lotta contro la povertà e l’esclusione sociale, e queste cifre dicono
che è necessario rafforzare gli strumenti per dare maggiore assistenza. Nel continente,
i bambini a rischio indigenza sono ben 19 milioni, il 19 per cento di tutti i piccoli
della Ue. Stessa percentuale per gli anziani. Le donne sono il 17 per cento, una percentuale
che sale al 25 per cento per coloro che non sono sposate. “La crisi internazionale
- spiega il presidente delle Acli, Andrea Olivero - costringe a ripensare le forme
di tutela e inclusione sociale ma anche l'economia di mercato e il modello di sviluppo”.
Il presidente Olivero cita l'ultima Enciclica di Benedetto XVI, "Caritas in Veritate",
e afferma che “occorre riportare l'etica nell'economia, lanciare una 'Opa etica' nel
mondo dei mercati, delle banche, delle multinazionali”. A rischio povertà anche gli
italiani che negli anni sono stati costretti a emigrare. E pensare che nel 2011 sono
previsti tagli del 20 per cento rispetto al 2010 per i fondi destinati alla loro assistenza
e integrazione. Un fatto grave per Andrea Olivero:
R.
- Oggi, non tutti costoro vivono in condizioni particolarmente felici: in questi anni
si erano costruiti progetti, tra l’altro poco costosi, che servivano per aiutare a
dare quel minimo di assistenza sanitaria integrativa che era indispensabile. I tagli
ai fondi di quest’anno - un ulteriore 20 per cento - diventano, in realtà, la fine
di questo processo, segnano una ulteriore divisione tra gli italiani d’Italia e quelli
del mondo. Questo rappresenta anche la rottura di un patto di solidarietà che - bisogna
riconoscere - gli italiani nel mondo hanno mantenuto.
D. - La metà
degli espatriati ha meno di 40 anni, ma senza fondi non si riescono nemmeno a fare
progetti di ricerca in cui gli italiani, in qualche modo, possono poi essere decisivi
all’estero…
R. - Noi stiamo iniziando a seguire le nuove generazioni
che stanno viaggiando, che stanno girando con sensibilità diverse rispetto a quelle
degli anni passati, ma con grandissime potenzialità. C’è bisogno, però, di assistere;
c’è bisogno, però, di avere delle risorse per fare dei progetti comuni e per sostenerli
in una integrazione efficace, che faccia sì che gli italiani possano diventare protagonisti
anche nelle diverse società in cui vanno ad operare. E tutto questo a grande beneficio
dell’Italia, del suo export, ma anche del suo buon nome che diventa poi la principale
modalità per essere apprezzati e per poter essere riconosciuti, per poter giocare
quindi un ruolo rilevante all’interno dello scacchiere internazionale.(mg)