Il G20 di Seul non supera le divergenze sulla ripresa economica
Si notano alcuni progressi, ma la ripresa è ancora lenta e fragile. Il documento finale
del vertice G20, che si è concluso oggi a Seul, lascia in piedi tutti gli interrogativi
e i rischi della crisi economica. Il servizio di Maria Grazia Coggiola:
Il G20 non
è riuscito a superare le profonde divergenze sulla politica monetaria mondiale che
continueranno, quindi, a influire negativamente sull’economia globale. I leader hanno
respinto la proposta americana di contrastare la sottovalutazione della moneta cinese.
Nel comunicato finale, molto annacquato nei toni, si sono limitati a impegnarsi a
non ricorrere a speculazioni competitive delle valute per favorire le proprie crescite.
Il cosiddetto ‘piano di Seul’ invita, inoltre, gli Stati a rimanere vigili sugli eccessi
di volatilità delle monete. Sul fronte degli squilibri commerciali, si sottolineano
il no al protezionismo e la necessità di ridurre gli eccessi a livelli sostenibili.
Il G20 rimanda, però, lo studio delle linee guida a successivi gruppi di lavoro insieme
al Fondo Monetario Internazionale e alle altre organizzazioni finanziarie. Una prima
verifica sarà a metà del 2011. Secondo alcuni, questo G20 ha messo a nudo l’indebolimento
degli Stati Uniti sulla scena internazionale. Il presidente statunitense Obama ha
ricordato che l’economia americana è un motore importante per tutti i Paesi, auspicando
che la Cina porti lo yuan a livelli di mercato.
Dal G20,
dunque, l’allarme sui rischi di una nuova caduta dell’economia mondiale. Sulle ragioni
di tali pericoli, Giada Aquilino ha intervistato Francesco Carlà, presidente
di Finanza World:
R. – Esiste
il problema delle economie - soprattutto europee e anche degli Stati Uniti - che sono
uscite molto indebolite dalla crisi finanziaria del 2008 e non solo, con conseguenti
problematiche sui cambi di svalutazioni competitive, svalutazione delle monete e problemi
anche per i titoli di Stato. In questo scenario, poi, ci sono i Paesi che vanno meglio
e quelli che vanno peggio. Quelli che vanno meglio - Germania e anche un po’ Francia
in Europa, e naturalmente le economie emergenti, come la Cina e quelle asiatiche -
hanno meno interesse di quanto, invece, abbiano gli Stati Uniti e altri Paesi più
in difficoltà a trovare un accordo sui cambi. Quindi, c’è un po’ uno stallo, una situazione
- anche quella affrontata dal G20 – che, da un punto di vista politico, non sembra
ancora molto solida. Da un punto di vista economico, anche per questo scenario e per
queste cause, la ripresa risulta ancora anemica e debole.
D. – Da Seul
è arrivato un richiamo a non attuare svalutazioni monetarie competitive, procedimento,
invece, attuato anche di recente. Cosa significa?
R. – E’ un buon proposito
ma gli Stati Uniti sono i principali imputati di questa vicenda delle svalutazioni
competitive, stampando titoli a tutto spiano per indebolire il dollaro e per rafforzare
la loro ripresa delle esportazioni e, ancora più importante, per ridurre il valore
assoluto dell’enorme debito pubblico americano, che è uscito molto ampliato dagli
interventi che hanno dovuto fare nel 2008 …
R. – Per il nodo degli squilibri
commerciali si è tornati a dire no ai protezionismi…
R. – Anche sul
fronte degli scambi commerciali ci sono tali squilibri perché in questo momento la
forza di Paesi esportatori come la Cina si scontra con la difficoltà, invece, di altri
Paesi. Anche la Germania ha una grande forza di esportazione, mentre altri Stati hanno
molta più difficoltà a realizzare questa capacità di esportazione e per questo usano
tutti i mezzi che possono, tra cui anche le svalutazioni.
R. – In campo
europeo, oltre ad affrontare la crisi irlandese in atto, a Seul è emerso un forte
ruolo della Germania ancora più della Francia, che assume ora la guida del G20. Si
potrebbe creare un asse Berlino-Pechino?
D. – Da un punto di vista economico
sono abbastanza schierate dalla stessa parte perché sono i due massimi Paesi esportatori
in questo momento. La Germania ha ristrutturato la sua economia durante gli anni in
cui si poteva fare e ora si trova in condizioni molto positive da un punto di vista
economico. La Cina sfrutta la possibilità di tenere sotto controllo lo yuan, oltre
ad avere altri fattori noti: cioè, il fatto che, per esempio, il mercato del lavoro
cinese non subisce le stesse regole, gli stessi diritti di quello europeo e anche
di quello americano; inoltre, la protezione dell’ambiente non è garantita allo stesso
modo … Quindi, per una serie di fattori - monetari e non solo - per una forza intrinseca
dei prodotti, dell’economia, si trovano abbastanza sullo stesso piano. Dall’altra
parte, ci sono gli Stati Uniti che hanno un problema di debito pubblico che vogliono
ridurre il più possibile o comunque controllare e poi vogliono cercare di tenere il
dollaro più debole possibile per garantirsi maggiore esportazione. Anche se, in realtà,
la forza dell’esportazione americana è sempre stata nei prodotti ad alta tecnologia,
dove il vantaggio di un dollaro più debole, onestamente, io non lo vedo. (bf)