2010-11-11 15:29:59

Plenaria della Cultura. Mons. Ravasi: la Chiesa sia sempre più capace di parlare al mondo di oggi


La plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura è stata aperta ieri pomeriggio con una seduta pubblica in Campidoglio, con la partecipazione del sindaco di Roma Gianni Alemanno. I lavori si svolgono da oggi fino a sabato prossimo in Vaticano sul tema "Cultura della comunicazione e nuovi linguaggi". Luca Collodi ha chiesto a mons. Gianfranco Ravasi, presidente del dicastero per la Cultura e prossimo cardinale, perché la plenaria per la sua apertura abbia scelto di uscire dal Vaticano:RealAudioMP3

R. - E’ stata quasi una scelta obbligatoria, perché siamo in presenza di un tema che di sua natura suppone la “polis”, cioè la città; suppone il gioco delle strade che si incrociano; delle persone che comunicano tra di loro, che urlano e che qualche volta - invece - sussurrano soltanto. Per questo motivo abbiamo scelto il Campidoglio che è una sorta di simbolo e dove la comunicazione dovrebbe diramarsi in tutta la città.

D. - La Chiesa fa della Parola la sua testimonianza, però fatica a parlare il linguaggio dei tempi moderni. Perché?

R. - Esiste un problema quasi preliminare: da un lato, noi dobbiamo riconoscere che la comunicazione e il linguaggio sono delle espressioni fondamentali dell’essere umano e della stessa religione. Non dimentichiamo che la Bibbia comincia - nell’Antico e nel Nuovo Testamento - con la frase: “Dio disse” e “In principio c’era la Parola”. Quindi come tale, la parola celebra i suoi trionfi, nella cultura, nella religione, nella comunicazione, come avviene ora tra di noi. Dall’altra parte, però, si è riconosciuto che ormai la comunicazione e il linguaggio sono malati: hanno tante diverse malattie degenerative e al capezzale di questo malato ci sono tanti specialisti. Tra questi ci deve essere, indubbiamente, anche la comunità ecclesiale, anche perché tante volte la comunità ecclesiale, forse, questo linguaggio non sa più usarlo.

D. - Mons. Ravasi è la Chiesa che non sa più usare il linguaggio o sono i contenuti ecclesiali che non interessano più l’opinione pubblica?

R. - Noi sappiamo il famoso detto, che viene sempre citato, “il mezzo è il messaggio”: contenuto e mezzo di comunicazione si intrecciano ininterrottamente tra di loro e costituiscono quasi come una sorta di realtà inestricabile. Per questo motivo il contenuto è primario. Noi abbiamo un messaggio da comunicare, che è tante volte alternativo rispetto a quello della società contemporanea, ma che riteniamo fondamentale per i valori che custodisce, per la ricchezza che contiene. Dall’altra parte, però, c’è il mezzo e il mezzo purtroppo molte volte è stato perso: si è usato un linguaggio e un modo espressivo, da parte della società contemporanea, che non è stato raccolto dalla Chiesa e che ha continuato con un suo linguaggio. Ecco allora la necessità di entrare non soltanto con in contenuto, ma anche con il mezzo, con la comunicazione.

D. - C’è la necessità anche di una formazione dei pastori della Chiesa ai nuovi linguaggi…

R. - E’ questa una delle necessità, forse, fondamentali. E non soltanto per evitare quella critica ironica che faceva Voltaire ai predicatori, dicendo che “l’eloquenza è come la spada di Carlo Magno: lunga e piatta, perché i predicatori quello che non sanno darti in profondità te lo danno in lunghezza!”. La necessità di trovare un linguaggio certamente più capace di entrare in sintonia con la cultura e con l’uomo di oggi è indispensabile. Non dimenticando, però, che esiste un linguaggio fondamentale di riferimento e dal quale non si può prescindere. Ci sono delle parole che devono essere conservate!

D. - L'apertura della plenaria è avvenuta fuori dal Vaticano: ci dobbiamo aspettare nuove conclusioni dal lavoro dell’assemblea?

R. - Sicuramente l’originalità dell'apertura fuori dal Vaticano, come sempre si è fatto, è già significativa in sé. L'altra novità è che la plenaria coinvolgerà persone diversissime: ci saranno registi cinematografici, ci saranno artisti ed architetti che interverranno, studiosi di linguaggio e specialisti di Internet …. Questo è già un modo per parlare ad un areopago molto più esteso, ad una piazza molto più espansa. Io penso che, d’altra parte - e qui ritorniamo alle parole di Cristo - non dobbiamo annunciare soltanto nell’interno della penombra aureolata - forse - di incensi, della comunità ecclesiale, delle chiese, ma dobbiamo parlare - come diceva Gesù - anche dalle terrazze e dai tetti: e noi siamo saliti, appunto, sulla terrazza del Campidoglio o - se si vuole - di tutta la società contemporanea. (mg)







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