2010-11-10 14:44:18

L'economia al centro dei viaggi asiatici di Obama e Cameron


Una economia forte è il maggior contributo che gli Stati Uniti possono dare alla ripresa globale. E' quanto afferma il presidente Usa, Barack Obama, in una lettera al G20. Il capo della Casa Bianca, arrivato a Seul per partecipare al summit che inizierà domani, ha quindi invitato i leader a ''fare la loro parte'' per ridurre gli squilibri commerciali. Obama ha visitato nei giorni scorsi Indonesia e India, mentre la prossima tappa del suo viaggio in Asia sarà il Giappone. Intanto, prosegue la visita in Cina del premier britannico David Cameron, che ha incontrato il presidente Hu Jintao: rapporti bilaterali Londra-Pechino in primo piano. Le relazioni economiche con i Paesi dell’Asia sono al centro dunque della visita del presidente statunitense Obama nel Continente e della missione del premier britannico Cameron in Cina. Perché Stati Uniti ed Europa guardano all’Asia? Giada Aquilino lo ha chiesto a Carlo Filippini, esperto di Asia orientale e docente di Economia politica all’Università Bocconi di Milano:RealAudioMP3

R. – Ci sono due motivi: un motivo di lungo periodo, nel senso che l’Asia sta crescendo - in particolare la Cina - a grandi passi e sta acquisendo posizioni di preminenza in tutti i campi dell’economia mondiale. Il secondo motivo è di breve periodo. La crisi economica ha indebolito molti Paesi europei e gli Stati Uniti. Una via d’uscita è quella naturalmente di aumentare le esportazioni verso il
resto del mondo: in questo momento, la Cina e anche altri Paesi asiatici – per esempio l’India – sembrano essere i mercati più promettenti.

D. - Lo sviluppo dei Paesi asiatici sta, in un certo senso, generando una mutazione strutturale del sistema mondiale?

R. – Certamente sì. Gli equilibri mondiali si stanno spostando. Si dice che questo sarà il secolo del Pacifico, come quello appena concluso è stato il secolo dell’Atlantico. All’interno dell’Asia, in particolare dell’Asia orientale, la Cina è il Paese di punta, anche se non dobbiamo dimenticare l’India, il Giappone – pur se sembra molto indebolito – la Corea o i dieci Paesi dell’Asean.

D. – La crisi finanziaria ha colpito anche l’Asia, ma sembra non così gravemente come l’Europa e gli Stati Uniti. Perché?

R. – Possiamo pensare naturalmente al maggior dinamismo, cioè alla maggiore crescita economica di questi Paesi; possiamo pensare ad un maggior controllo che le autorità monetarie, più in generale le autorità governative, hanno sulla loro economia. Ad esempio, la valuta cinese non è ancora completamente convertibile, quindi il controllo della Banca della Cina sulla quantità di monete in circolazione e, in certa misura, anche sul tasso di cambio è molto più forte di quanto non avvenga in economie di mercato. Inoltre, le cause più specifiche che avevano determinato la crisi negli Stati Uniti - cioè i prestiti non più recuperabili, le sofferenze bancarie e le obbligazioni, o meglio i pacchetti di "obbligazioni avvelenate" - non si sono verificate praticamente in nessuno dei Paesi asiatici, anche se in alcuni - vedi ancora la Cina - vi è il pericolo di una bolla speculativa immobiliare.

D. – E’ in atto il dibattito su una nuova moneta di interscambio a livello mondiale. Quali sviluppi si prospettano?

R. – Un fronte immediato è il tentativo di molti Paesi di sostituire il dollaro come, di fatto, unica moneta internazionale. Proprio ieri si è parlato di un ritorno al “gold standard”, cioè a mettere l’oro al centro del sistema monetario internazionale. Su un altro fronte, abbiamo il tentativo, mai avviato da parecchi anni, dei dieci Paesi Asean del Sud-Est asiatico, più Giappone, Corea e Cina, di concretizzare qualcosa che potremmo pensare simile all’Euro o più esattamente agli ultimi 20 - 25 anni di unione monetaria in Europa. Vi sono poi altri aspetti complementari a questi: ad esempio, le manovre monetarie espansive degli Stati Uniti hanno indebolito il dollaro ed è un risultato voluto dagli stessi Stati Uniti, appunto per poter esportare di più. Di fronte a ciò c’è invece la continua richiesta - non solo degli Stati Uniti, ma anche di molti altri Paesi - di una rivalutazione della moneta cinese, lo yuan.







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