Nairobi: prosegue la Conferenza panafricana dei teologi del continente
Seconda giornata per la Conferenza panafricana dei teologi del continente, che sono
riuniti a Nairobi, in Kenya, per riflettere sui problemi dell’Africa alla luce del
secondo Sinodo africano sui problemi sociali e per fare un bilancio dal punto di vista
economico e sociale a distanza di 50 anni dall’indipendenza di molti Paesi. Il primo
a intervenire è stato mons. Damiao Franklin, arcivescovo di Luanda, in Angola, che
è stato uno dei due segretari speciali al Sinodo. Ha parlato della necessità di “reinvenzione”
dell’Africa e ha lanciato un messaggio di speranza: alla fine tutto si risolverà con
la riconciliazione e la pratica della giustizia, che porteranno la pace nel continente.
Questa riconciliazione, ovviamente, trova origine in Dio. Richard Rwiza, docente all’università
cattolica dell’Africa dell’est a Nairobi, ha distinto, invece, tra ingiustizia semplice
e la situazione che c’è in Africa, dove l’ingiustizia è istituzionalizzata e in questi
50 anni ha via via assunto le forme della crisi della governance, degli eccidi, delle
guerre civili e della povertà etnica, oltre che morale. “Solo quando si ha un’etica
che trova il fondamento nella Parola di Dio, si può considerare l’altro come un fratello
e lo si può proteggere. È la base della Dottrina sociale della Chiesa”, ha detto.
Di fenomeni come la corruzione e l’instabilità dei governi dell’Africa, che è d’impedimento
a un’evangelizzazione profonda, ha parlato anche il collega Nicolas Segeja, che ha
suggerito in proposito una risposta pastorale: ricostruire il cuore per trovare una
medicina vera che possa curare questa situazione; un piano strategico basato sulla
conoscenza del Vangelo e sul rispetto della dignità dell’uomo. La Resurrezione di
Cristo come guida a un rialzamento dell’Africa è stato il tema dell’intervento di
Francisco José Lumba, originario del Congo, ma che vive in Francia: è ora che il continente,
disceso agli inferi con la tratta dei neri, la schiavitù, il colonialismo e lo sfruttamento
vergognoso delle sue risorse naturali, si risollevi attraverso la conoscenza di Dio,
che è conoscenza di Cristo e dell’uomo. Luca Ijezie, esegeta proveniente dalla Nigeria,
ha parlato del peso della libertà nell’Africa contemporanea e ha sottolineato metaforicamente
il ruolo del deserto, simbolo della marcia verso la libertà, appunto, ma anche d’incontro
di Israele con se stesso e con un Dio che lo ama e come inizio di una vita nuova grazie
all’ingresso nella terra promessa. Padre Valentin Ntumba del Congo, invece, ha orientato
la propria riflessione sull’analisi della prima lettera di San Pietro e ha enunciato
i principi per una buona posizione della Chiesa di fronte al potere politico in Africa.
Infine, l’ultimo a intervenire è stato l’esegeta padre Albert Mundele, che ha sottolineato
l’esigenza di tradurre i testi biblici nelle lingue africane, fondamento essenziale
di un’evangelizzazione profonda che nell’Africa postcoloniale è possibile. (Da
Nairobi, padre Joseph Ballong)