Sì degli Usa al seggio permanente dell’India all’Onu: lo annuncia Obama al Parlamento
di New Delhi. Forti critiche per le elezioni rubate in Birmania
Gli Stati Uniti appoggeranno l’India nella richiesta di un seggio permanente all’Onu.
Lo ha annunciato il presidente, Brack Obama, nel discorso al parlamento di New Delhi,
durante il quale ha anche ribadito di volere un mondo senza armi nucleari e ha fortemente
criticato le elezioni in Birmania definendole "rubate". La visita di Obama ha suscitato
le proteste dei maoisti: nelle ultime ore, in due incidenti nello Stato del West Bengala
e nel vicino Bihar sono morte cinque persone. Ma torniamo ai pronunciamenti di Obama
in questo quinto e ultimo giorno di visita in India, con il servizio di Fausta
Speranza
Il presidente
Barack Obama ha annunciato il pieno sostegno degli Stati Uniti all'ingresso dell'India
nel Consiglio di sicurezza dell'Onu come membro permanente. “L'ordine internazionale
giusto e sostenibile che l'America cerca – ha detto parlando al parlamento indiano
– include Nazioni Unite che siano efficienti, efficaci, credibili e legittime”. Dunque,
questo è il motivo – ha spiegato – per cui posso dire oggi che per gli anni a venire
desideriamo un Consiglio di sicurezza riformato che includa l'India come suo membro
permanente”. A proposito di equilibri mondiali, Obama ha detto: “La mia visione è
quella di un mondo senza armi nucleari” e per questo bisogna che siano un successo
i Trattati di non proliferazione nucleare”. Prima di recarsi nel parlamento di New
Delhi, Obama ha ricevuto Sonia Gandhi, presidente del Partito del Congresso al potere
e considerata una delle donne più potenti del mondo. Successivamente, Obama ha anche
ricevuto Sushma Swaraj, leader in parlamento del Bjp, principale partito dell'opposizione
(centro-destra) indiana. Prima ancora, c’era stato il colloquio con il premier Singh,
nel quale Obama senza sbilanciarsi si era detto d’accordo sulla necessità che le istituzioni
internazionali, compreso l'Onu, riflettano le realtà del 21.mo secolo”. Nell’incontro
si era parlato anche di altro: situazione in Kashmir, imprese, lavoro ed economia.
L'India – ha detto il premier Singh – non ha alcun
interesse a "rubare" posti di lavoro agli Usa, a proposito della delocalizzazione
di alcune industrie statunitensi in Oriente. Anzi: New Delhi e Washington, ha aggiunto,
lavoreranno come “partner alla pari". Obama ha difeso l'operato della Federal Reserve
di immettere nuova liquidità nei mercati. "Il mio mandato e quello della Fed –
ha detto il capo della Casa Bianca – è quello di far crescere l'economia.
Questo non va bene soltanto agli Stati Uniti – ha aggiunto –
ma a tutto il mondo”. Rispondendo inoltre a una domanda sull’annosa questione del
Kashmir, Obama ha precisato che Washington non può imporre una soluzione al riguardo,
ma solo facilitare il raggiungimento di un’intesa, precisando di ritenere che "sia
il Pakistan, sia l'India abbiano interesse a ridurre le tensioni”.
Gli
Usa respingono l’appello di Israele per una minaccia militare “credibile” all’Iran Gli
Stati Uniti respingono l'appello di Israele che auspica una minaccia militare credibile
contro l'Iran per evitare che il Paese si doti di armi nucleari. Lo ha detto il segretario
americano alla Difesa, Robert Gates, a Melbourne, in occasione della riunione annuale
dei ministri di Esteri e Difesa di Usa e Australia. “Non sarei d'accordo - ha affermato
- nel dire che solo una minaccia militare credibile possa convincere l'Iran a prendere
misure per mettere fine al suo programma di armi nucleari. Siamo pronti a fare quello
che è necessario, ma in questo momento noi continuiamo a pensare che l'approccio economico
e politico che abbiamo adottato abbia un impatto effettivo sull'Iran”.
Iraq:
ennesima domenica di violenze per la comunità cristiana di Baghdad Una settimana
dopo la strage nella chiesa siro-cattolica di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso
a Baghdad, costata la vita a 58 persone, la comunità cristiana irachena piange l’uccisione
di altri due suoi fratelli. Colpite duramente anche le città sante sciite di Kerbala
e Najaf. Il servizio di Marco Guerra:
Ennesima
domenica di sangue per la comunità cristiana irachena, colpita da due distinti agguati
avvenuti ieri a Baghdad. Louay Daniel Yacoub, 49 anni, era davanti all’ingresso del
suo appartamento, quando sconosciuti lo hanno freddato a colpi d’arma da fuoco. Un
altro cristiano è stato ucciso con le stesse modalità, ma di lui non è stata ancora
resa nota l’identità, riferiscono fonti locali di AsiaNews, anonime per motivi di
sicurezza. Ma questa nuova fiammata di violenza non risparmia nemmeno i cittadini
di fede musulmana, come dimostrano i due attentati di oggi nelle città sante sciite
di Kerbala e Najaf. Due autobomba hanno causato la morte di almeno 13 persone, fra
le quali si contano diversi pellegrini iraniani. Eppure, la scorsa settimana tutta
la nazione si era stretta attorno alla comunità cattolica per dire no alle violenze
settarie. Lo scorso 5 novembre, durante la preghiera del venerdì, le moschee
a Kirkuk hanno condannato il “barbarico attentato” contro la chiesa della capitale.
Gli imam sunniti e sciiti della città dell’Iraq del nord hanno chiesto a gran voce
che venga preservato il “mosaico iracheno” di etnie e religioni. Gli stessi imam hanno
chiesto ai musulmani di proteggere i cristiani, definendoli un “modello di lealtà”.
E ieri cristiani di Baghdad hanno assistito alla prima Messa celebrata nella cattedrale
siro-cattolica di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso, dopo il massacro del 31 ottobre.
A Margine della celebrazione il patriarca caldeo di Baghdad, mons. Warduni,
ha chiesto nuovamente alla comunità internazionale di aiutare i cristiani iracheni
a rimanere nel proprio Paese e a favorire l’integrazione di chi vive oltre confine.
In
questo clima di violenza, a livello politico si attende l’ufficializzazione dell’accordo
tra i partiti per la formazione di un governo di unità nazionale, con lo sciita Al
Maliki, confermato alla carica di premier, con l’appoggio dell’ex rivale, il sunnita
Allawi. Nella città curda di Erbil è in corso il vertice che dovrebbe concludersi
con l’annuncio del nuovo esecutivo. Ma quale scenari apre questa fase? Giancarlo
La Vella lo ha chiesto a DonRenato Sacco di Pax Cristi, rientrato
da poco dall’Iraq:
R. - Non
sono in grado di dire se sarà un governo che davvero cerca la pace. In Iraq ci sono
molti interessi: qualcuno vuole quadruplicare l’estrazione del petrolio, e quindi
interessi economici, interessi politici di vario genere. Sicuramente è trascorso troppo
tempo, da marzo ad oggi, senza un governo, per cui ben venga un esecutivo anche se
bisogna vedere se sarà davvero finalizzato al rispetto della democrazia, ad alcuni
principi fondamentali, o se invece sarà condizionato in sostanza dai “poteri forti”
non solo economici, ma in questo caso anche politici. Resta il fatto che, alla speranza
di un governo, si unisce il dolore delle minoranze, in particolare dei cristiani.
D.
- Lei crede che tra le sfide che il nuovo governo deve affrontare, ci sia quella di
riuscire a convogliare tutte le etnie, le parti irachene nel sentimento di sentirsi
un’unica nazione?
R. - Io lo spero. Ho qualche dubbio, perché qualcuno
lavora per una divisione dell’Iraq in tre: infatti, nella divisione in tre, curdi,
sunniti e sciiti, ancora di più le minoranze, ancora più i cristiani, pagheranno la
distruzione di questo mosaico. Sarebbe una sconfitta non solo per l’Iraq, ma per tutto
il Medio Oriente, darebbe origine ad una valanga che forse non riusciamo ad immaginare.
(ma)
Accordo Usa-Australia: si apre una nuova fase di alleanza Le
forze armate Usa avranno un maggiore accesso ai porti e alle basi militari australiane,
nel quadro di un accordo raggiunto oggi a Melbourne alla riunione ministeriale annuale
di Esteri e Difesa, che conferma la volontà di Washington di giocare un ruolo più
esteso nella regione dell'Asia-Pacifico. Alla riunione detta Ausmin hanno partecipato
il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, nell'ultima tappa di un tour di
10 giorni in sei nazioni nella regione, il segretario alla Difesa, Robert Gates, e
i ministri australiani degli Esteri, Kevin Rudd, e della Difesa, Stephen Smith. L'accordo
di una nuova fase dell'alleanza prevede fra l'altro più frequenti visite di mezzi
della marina e dell'aeronautica Usa e più esercitazioni congiunte, e una revisione
dell'utilizzo delle basi in Australia per rifornimenti di mezzi militari. Nel corso
dei colloqui, sono state prese in esame la crescita, anche a livello militare, della
Cina e la "exit strategy" dall'Afghanistan. Fra gli argomenti in agenda, la cybersicurezza,
la lotta al terrorismo e l'uso pacifico dello spazio cosmico.
Scontri tra
esercito birmano e un gruppo ribelle alla frontiera con la Thailandia Scontri
a fuoco tra l'esercito birmano e la fazione fedele a un generale ribelle di etnia
Karen sono scoppiati questa mattina a Myawaddy, alla frontiera con la Thailandia,
costringendo circa 10 mila persone a rifugiarsi oltre confine e provocando, secondo
fonti raccolte dai siti dell'informazione della diaspora birmana, alcuni morti. I
combattimenti coinvolgono dei ribelli Karen che seguono il generale Na Kham Mwe, un
dissidente del "Democratic Karen Buddhist Army" (Dkba), che dall'anno scorso non ha
accettato la decisione del movimento di entrare a far parte delle "Guardie di confine",
il nuovo corpo istituito dalle forze armate birmane nel tentativo di inglobare diversi
gruppi ribelli etnici attivi lungo tutto il confine orientale.
Droni in
azione in Yemen contro il terrorismo Il ministro degli Esteri yemenita ha confermato
alla Cnn che alcuni droni - aerei senza pilota – sono in azione nel suo Paese sotto
il controllo dell'esercito di Sanàa. "Gli attacchi dei droni sono condotti dall'Aeronautica
yemenita ma scambiamo informazioni di intelligence con gli americani sulla
localizzazione dei terroristi", ha detto Abu Bakr Abdullah Al Qirbi all'emittente
Usa. Se fosse vero, commenta la Cnn, si tratterebbe di una "rara" concessione degli
Usa alle Forze Armate di un Paese straniero. Il ministro ha precisato che gli attacchi
sono stati "interrotti in dicembre a causa della possibilità di danni collaterali
(vittime civili, ndr)", ma non ha confermato che non ci siano stati attacchi nell'ultimo
mese. Ieri, il Washington Post aveva rivelato che gli Stati Uniti hanno deciso di
puntare sui droni per attaccare le basi di al Qaeda in Yemen. Le fonti citate dal
quotidiano avevano però precisato che i bombardamenti da parte dei velivoli non erano
ancora iniziati. Al Qirbi ha confermato che, al momento, i droni vengono utilizzati
per operazioni di sorveglianza. Lo Yemen è il Paese dal quale sono partite recentemente
le minacce terroristiche più pericolose: il ramo di al Qaeda (l'AQAP), guidato dall'estremista
nato in Usa, Anwar al-Awlaki, ha rivendicato i pacchi-bomba sugli aerei ed è responsabile
del tentato attentato di Natale su un volo della Delta Airlines.
Gli Usa
chiedono al Sudan di garantire regolarità nei referendum dei prossimi mesi Gli
Stati Uniti toglieranno il Sudan dalla loro lista degli Stati sponsor del terrorismo
già nel luglio 2011 se Khartoum garantirà che due referendum cruciali per il Paese
si svolgeranno come previsto il prossimo gennaio e che i risultati delle consultazioni
saranno rispettati. Lo hanno riferito fonti politiche americane. Il presidente Usa,
Obama, ha avanzato la proposta tramite il senatore, John Kerry, presidente della Commissione
esteri del Senato, che ha di recente visitato due volte il Paese africano. Le fonti
hanno precisato che le sanzioni imposte dagli Stati Uniti al Sudan per il Darfur non
saranno tolte finchè Khartoum non farà progressi per risolvere la drammatica situazione
umanitaria nella regione. I due referendum paralleli sono in programma il 9 gennaio
prossimo: il primo è sull'autodeterminazione del Sud Sudan, che potrebbe decidere
per la secessione; il secondo riguarda la regione petrolifera contesa di Abyei, i
cui abitanti devono decidere se restare con il Nord o passare al Sud Sudan. Le due
consultazioni erano state decise con l'accordo di pace del 2005, che pose fine a una
trentennale guerra civile fra il Nord arabo-musulmano e il Sud cristiano e animista
nel più grande Paese africano. Il Dipartimento di Stato Usa ha inserito il Sudan nella
lista degli Stati sostenitori del terrorismo nel 1993, accusando Khartoum di dare
ospitalità a miliziani integralisti, incluso per un certo periodo il capo di Al Qaida
Osama bin Laden.
Sequestrati due stranieri in Nigeria Uomini armati
hanno attaccato un impianto petrolifero nello Stato sudorientale nigeriano di Akwa
Ibom, sequestrando diverse persone tra le quali due stranieri. Lo riferiscono fonti
della sicurezza. L'attacco, è stato precisato, è avvenuto nell'impianto di Okoro.
L'area di Akwa Ibom, nel Delta del Niger, è ricchissima di petrolio e gas: tra il
2008 e il 2010 sono stati registrati 100 rapimenti.
Centodue immigrati irregolari
sulle coste della provincia italiana di Crotone Sono complessivamente 102 gli
immigrati giunti ieri sulle coste in provincia di Crotone, nel sud d’Italia, a bordo
di un motoscafo di oltre 20 metri. Polizia, Carabinieri e Guardia di finanza nel corso
delle ore hanno rintracciato altri immigrati. Sono stati portati nel centro Sant'Anna
di Isola Capo Rizzuto. Gli immigrati sono tutti uomini. Tra loro ci sarebbero sei
minorenni.
In Irlanda il rischio debito sale a nuovi massimi Sale
a nuovi massimi il rischio default dell’Irlanda per i timori legati al costo
del salvataggio del sistema finanziario del Paese: in base ai dati citati dall'agenzia
Bloomberg, i credit defaultswaps (cds) sul debito dell’Irlanda sono
aumentati di 28 punti in base al nuovo record di 606 punti. Oggi, il commissario europeo
agli Affari economici e monetari, Olli Rehn, è in missione a Dublino per esaminare
il piano antideficit del governo e intanto i titoli di Stato irlandesi sono in ribasso
per il decimo giorno di fila, come non accadeva da quasi due anni. Appesantito dai
timori per i conti pubblici dell’Irlanda, l'euro resta sotto quota 1,39 dollari. La
moneta europea è scivolata a 1,3893 dollari contro 1,4032 degli ultimi scambi di venerdì
scorso a New York.
Grecia, il partito socialista vince di un soffio le amministrative Il
partito socialista greco Pasok ha vinto ieri di un soffio le elezioni amministrative,
trasformatesi in referendum nazionale sulla politica del governo, in sette delle tredici
mega-regioni, secondo i dati ufficiali su una media del 94% dei voti contati. Il premier,
Giorgio Papandreou, si è dichiarato soddisfatto di un risultato che mantiene ancora
leggermente in testa il Pasok, dopo un anno di crisi e proteste sociali per i tagli
a salari e pensioni. E ha spazzando via l'ipotesi, da lui stesso evocata, di possibili
elezioni anticipate in caso di sconfitta. “Il popolo che ci portò al potere un anno
fa ha confermato che vuole il cambiamento, e quindi proseguiremo subito per la nostra
strada e i nostri obiettivi” ha detto ieri sera Papandreou commentando a caldo i primi
risultati. Ma l'opposizione sottolinea il magro risultato, che riduce dal 10% delle
politiche al 2,5% il vantaggio del Pasok nei confronti del secondo partito Nuova Democrazia
(ND, centrodestra) e fa crescere sensibilmente il Partito comunista (Kke), che supera
l'11% contro il 7,5% delle politiche in mezzo ad una forte astensione di circa il
40%. Ciò dimostrerebbe, secondo l'opposizione di destra e di sinistra, che “gli elettori
hanno respinto la politica di austerità” varata dal governo insieme a Ue e Fmi.
In
Azerbaigian largamente in testa il partito al potere alle legislative di ieri Il
partito al potere in Azerbaigian con il presidente Ilham Aliev è largamente in testa
alle elezioni legislative svoltesi ieri nel Paese e dovrebbe ottenere almeno 74 dei
125 seggi del parlamento. Lo ha riferito la Commissione elettorale, dopo lo spoglio
di oltre l'80% dei voti. I risultati rafforzano il dominio di Aliev e del suo partito
Yeni Azerbaigian sulla vita politica del Paese, al termine di elezioni che l'opposizione
ha definito non democratiche e macchiate da frodi. I candidati indipendenti hanno
ottenuto 36 seggi, secondo i risultati forniti dalla Commissione elettorale centrale.
L'alleanza dell'opposizione formata dal Fronte popolare e dal partito Musavat con
ogni probabilità non otterrà alcune seggio.
Per le ultime eruzioni del vulcano
Merapi sono morte 158 persone Sale a 158 morti il bilancio dell'eruzione del
vulcano Merapi nell'isola indonesiana di Giava, iniziata il 26 ottobre scorso. Lo
riferisce la Cnn citando fonti mediche locali. Ieri, intanto, dal vulcano si sono
prodotte due estese colate piroclastiche, che producono una nuvola di cenere e lapilli
che viaggia ad una velocità di 50-300 km/h. Le esplosioni sono state udite fino a
20 km dal vulcano. L'eruzione ha causato nei giorni scorsi la cancellazione di numerosi
voli: oggi è previsto il ritorno alla normalità. Singapore Airlines, una delle principali
compagnie che operano nell'area, annuncia sul proprio sito che, sulla base dei dati
disponibili, tutti i voli in programma "sono confermati".
Sale a 40 miliardi
di dollari il costo per la Bp della marea nera nel Golfo del Messico I costi
del disastro ecologico della Deepwater Horizone nel Golfo del Messico per la società
petrolifera Bp hanno toccato quota 40 miliardi di dollari. Lo ha reso noto la stessa
compagnia, comunicando i suoi risultati finanziari per il terzo trimestre dell'anno.
La stima dei conti da pagare ha quindi subito un ulteriore rialzo di 7,7 miliardi
di dollari rispetto ad una precedente valutazione. La bolletta, secondo Bp, è lievitata
a causa dei ritardi nei tentativi di tappare la falla e dei costi elevati delle operazioni
di pulizia, insieme alle spese legali. A fine luglio, Bp aveva messo da parte 32,2
miliardi di dollari per coprire i costi delle operazioni di pulizia, portando alla
società un buco finanziario record di 17 miliardi di dollari per il secondo trimestre
del 2010. Il costo finale del maggiore disastro ambientale potrebbe però salire ancora.
La Bp ha spiegato che la bolletta finale di 39,9 miliardi di dollari costituisce “la
migliore stima che è possibile effettuare al momento”. Finora, Bp ha pagato 11,6 miliardi
di dollari di spese complessive dopo l'incidente, ma deve ancora fare fronte al pagamento
di ripuliture, richieste di risarcimento e una probabile multa multimilionaria da
parte del governo Usa. Secondo il nuovo amministratore delegato di Bp, Bob Dudley,
la società è “sulla strada” della ripresa dal disastro. (Panoramica internazionale
a cura di Fausta Speranza)
Bollettino del Radiogiornale della Radio
Vaticana Anno LIV no. 312
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