Elezioni in Myanmar, denunce di brogli ai seggi. Intervista con l'inviato europeo,
Piero Fassino
In Myanmar, c’è attesa per l’esito delle elezioni politiche di ieri. Media statali
stanno cominciando a diffondere i primi dati ufficiosi, sebbene molti osservatori
ritengano scontata la vittoria del partito vicino alla giunta militare al potere.
Intanto, mentre al confine con la Tahilandia si segnalano scontri tra l’esercito e
gruppi di ribelli, si moltiplicano le denunce di irregolarità ai seggi con i partiti
di opposizione che pensano al boicottaggio dei risultati in caso di evidenti irregolarità.
In mattinata, anche il Giappone si è unito alle critiche sul processo elettorale avanzate
in questi giorni dall’Occidente. Eugenio Bonanata ha raccolto la riflessione
di Piero Fassino, inviato speciale dell'Unione europea per il Myanmar:
R. – Quello
che in ogni caso la comunità internazionale si attende è che dopo queste elezioni
si apra una fase effettivamente nuova in Birmania: con la fine degli arresti domiciliari
di Aung San Suu Kyi, con la liberazione dei prigionieri politici, soprattutto
con l’apertura di un dialogo vero tra la giunta al potere, l’opposizione e le comunità
etniche, per gestire la transizione e un processo di riconciliazione che consenta
al Myanmar di approdare effettivamente ad una sponda democratica.
D.
– Sabato prossimo, la possibile liberazione di Aung San Suu Kyi: come
cambierà, secondo lei, l’atteggiamento dell’opposizione birmana?
R.
– Intanto, bisogna agire, ancora in queste ore, perché effettivamente la liberazione
di Aung San Suu Kyi avvenga nei prossimi giorni, come è stato più volte
annunciato. Poi, naturalmente, il rientro alla vita politica di Aung San Suu
Kyi peserà, e peserà molto per il ruolo che ha avuto fin qui, per la personalità
che esprime e perché è punto di riferimento per milioni e milioni di cittadini del
suo Paese. Si tratterà di valutare anche come Aung San Suu Kyi vorrà
collocarsi in questa fase. Questo naturalmente lo sapremo quando sarà libera.
D.
– In queste ore, è arrivata la condanna da parte degli Stati Uniti, però nessun commento
da parte dalle cancellerie dei Paesi asiatici: penso alla Thailandia, alla Cina e
all’India...
R. – E’ noto che i Paesi asiatici hanno un atteggiamento
più prudente sul dossier birmano - ma non solo su questo - e che hanno teso a sviluppare
una strategia più di “moral suasion” nei confronti dell’autorità birmana. Ci sono
Paesi che sono naturalmente più attivi e altri meno: penso, per esempio, al ruolo
importante che ha giocato e potrà giocare ancora di più in questa fase un Paese come
l’Indonesia, che diventerà il presidente di turno dell’Asean. Ci sono Paesi asiatici
– come il Giappone, come la Corea, come l’Australia e la Nuova Zelanda – che possono
giocare un ruolo positivo. E naturalmente, dobbiamo sapere che c’è un’influenza della
Cina molto grande e che, quindi, è chiaro che il peso di essa si fa sentire ed è un
peso di un Paese che ha enormi interessi economici in Birmania e che ha un rapporto
molto stretto con le autorità al potere. Per questo, io penso che Stati Uniti ed Unione
Europea debbano continuare a sviluppare un’iniziativa di forte pressione, per favorire
un’evoluzione in Birmania, sollecitando anche i Paesi asiatici a muoversi nella stessa
direzione. (ap)