Stragi a Baghdad, oltre 60 morti. Indagata la pista di al Qaeda
E’ salito ad almeno 64 vittime e centinaia di feriti il bilancio della raffica di
ben 11 autobomba fatte esplodere in sequenza martedì a Baghdad, in Iraq. La pista
più seguita dagli inquirenti rimane quella del braccio iracheno di Al Qaeda. Gli attentati
sono giunti in un momento particolarmente delicato per il Paese del Golfo, a otto
mesi dalle elezioni del marzo scorso che non hanno ancora portato ad un nuovo governo.
Il Parlamento di Baghdad è chiamato ad eleggere lunedì prossimo almeno il suo presidente
e i due vice. Della situazione in Iraq, Giada Aquilino ha parlato con Marcella
Emiliani, docente di Storia del Medio Oriente all’Università di Bologna-Forlì:
R. – C’è
una presunta rinascita di Al Qaeda in Iraq. La comunità sunnita è stata la prima a
rendersi conto che permettere ad Al Qaeda di infiltrarsi in Iraq è stato uno degli
errori più gravi in tutte le vicende seguite al 2003. A questo punto, siccome non
si riesce a mettere in piedi un governo, non si riesce a stabilizzare la situazione
politica, il problema è che gli attentati ancora una volta servono a mostrare all’opinione
pubblica irachena e al mondo che "si esiste". Quindi, potrebbero essere attentati
di al Qaeda, ma anche che una parte della stessa comunità sunnita, non obbligatoriamente
qaedista, per pesare di più nel power sharing, nella spartizione del potere
in Iraq, si faccia viva in questa maniera. Perché a questo la violenza fino ad oggi
è servita in Iraq: a fermare la presenza politica di qualcuno.
D. –
In questo quadro, non si rischia di aggravare ulteriormente il conflitto civile?
R.
– Purtroppo, questo conflitto civile è multiforme: ha tante di quelle radici ed è
così cangiante che riesce molto complicato distinguere le sue varie matrici. Il motivo
per cui non si arriva ad un governo è proprio perché ci sono pulsioni e spinte centrifughe
e tutte mirano ad avere il controllo di parte del Paese, di parte delle risorse. Servono
tutte a opzionare il processo politico.
D. – Il nuovo Iraq deve dunque
ancora arrivare. Ma c’è una strada per giungervi?
R. – Certamente, questo
rigurgito di attentati si ha anche in vista di un prossimo ritiro di quel che rimane
delle truppe americane. Molti osservatori, però, sostengono che, una volta partiti
gli americani, molto probabilmente gli iracheni fra loro riusciranno meglio a mettersi
d’accordo. La cosa assolutamente certa è che l’Iraq è ancora preda di una guerra civile
e nessuno vuole perdere le posizioni conquistate attraverso la violenza, in questo
disegno che doveva essere democratico. Altri attraverso la violenza vogliono arrivare
a conquistare posizioni che non hanno.
D. – Oggi, il premier sciita
uscente, Nouri Al Maliki, sembra più accreditato degli altri per la poltrona di premier.
Ma cosa c’è da aspettarsi?
R. – E’ una partita che si gioca tra Al Maliki
e Allawi. Tutti e due hanno un pregio, visti dall’Occidente: sono meno confessionali
di altri. Meno confessionali vuol dire meno legati alle formazioni più settarie. Parlano
a nome di un Iraq intero, se non altro, per quello che è il loro discorso politico.
Certo, però, dovranno arrivare a mettersi d’accordo, perché non possono continuare
a mantenere il Paese bloccato, senza un governo.(bf)