Un Premio Nobel per le donne africane: l'iniziativa promossa dal Cipsi
Proseguono a Dakar i lavori della Noppaw, la Campagna per il conferimento del Premio
Nobel della Pace alle donne africane, promossa dal Cipsi (Coordinamento di Organizzazioni
e Iniziative Popolari di Solidarietà). Quattro giornate di seminario finalizzate all’elaborazione
del dossier per la candidatura di un protagonista dell’orizzonte femminile africano.
Oggi in programma gli interventi della scrittrice senegalese Fatoumata Kane Ki Zerbo
sulla cura della famiglia, di cui le donne africane sono da sempre custodi e, dell’economnista
Idrissa Ba sulle piccole imprese femminili. In passato l’iniziativa ha suscitato perplessità,
soprattutto riguardo all’efficacia di uno strumento come il Premio Nobel nel contesto
africano e alla sua "lontananza concettuale" dalle culture del continente. La nostra
inviata in Senegal, Silvia Koch, ne ha parlato con Elisa Kidané, missionaria
comboniana dell’Eritrea e promotrice dell’iniziativa:
R. – Io sono
convinta della bontà di questa iniziativa, che ci dà l’opportunità di far venire alla
luce l’impegno di queste donne, che portano veramente il continente sulle loro spalle.
Poi non è detto che si arriverà a ricevere il Premio Nobel della Pace, ma quello che
questa campagna ha suscitato e ha mosso, penso ,sia senz’altro qualcosa di positivo.
D.
– Lei ha parlato di un movimento femminista, che in Africa lavora in maniera silenziosa.
Quali sono le principali conquiste di questa mobilitazione in favore delle donne?
R.
– Intanto è la coscientizzazione di gran parte delle donne d’Africa sul loro ruolo:
femminismo silenzioso, in contrapposizione al femminismo europeo. In Africa non troviamo
un parallelo, ma troviamo questa silenziosa crescita della conoscenza dei propri diritti.
Ci sono gruppi di donne che lavorano in favore della comunità, della collettività
e non semplicemente in favore di loro stesse. Questo penso che sia un femminismo africano
molto particolare e penso che, comunque, l’obiettivo di tutte le donne del mondo sia
quello di salvaguardare la vita personale, ma soprattutto quella vita che loro stesse
danno alla luce. Quindi, c’è un filo rosso che unisce un po’ tutte le donne del mondo
in questa difesa strenua della vita.
D. – Tornando indietro di un anno,
al Sinodo dei vescovi per l’Africa: nella discussione i vescovi hanno affrontato anche
la questione del ruolo che le donne devono avere nell’ambito ecclesiale. Quali sono
i cammini che si stanno percorrendo in questa direzione?
R. – Il fatto
che la Chiesa, attraverso i suoi vescovi, abbia riconosciuto il ruolo fondamentale
della donna è già una conquista. Adesso ci vorrà il tempo necessario perché venga
dato alla donna quello spazio affinchè sia protagonista nella Chiesa stessa.
D.
– Durante questo seminario, tornando alla campagna per il Premio Nobel della pace,
si parla molto di attività imprenditoriali delle donne, gestite dalle donne: dal microcredito
ai mercati. Quanto queste attività riescono poi a influenzare realmente le dinamiche
economiche e le politiche globali?
R. – Io penso che se l’Africa non
è affondata tra guerre, guerriglie e tante altre calamità sia grazie a questo lavoro
sotterraneo, a questa microimpresa, a questa economia "di sottobosco", che ha mantenuto
e mantiene in piedi l’economia dell’Africa. Adesso gli economisti stessi si sono resi
conto che è lì la chiave, forse, della salvezza economica dell’Africa: proprio nella
donna!