"Educare alla vita buona del Vangelo": pubblicati gli Orientamenti pastorali della
Cei per il prossimo decennio
“Educare alla vita buona del Vangelo”: è il titolo scelto dalla Chiesa italiana per
gli Orientamenti pastorali riferiti al decennio 2010-2020, pubblicati oggi. Diversi
i temi trattati nel documento: dalla formazione di una nuova generazione di laici
cristiani impegnati in politica, alla famiglia, destabilizzata da fisco, divorzi e
unioni gay. Si parla inoltre di scuola cattolica, tutela dell’infanzia, giovani e
immigrazione. Priorità per il prossimo decennio resta poi la sfida educativa. Linda
Giannattasio
Roberta Gisotti
ha intervistato mons. Domenico Pompili, direttore dell’Ufficio nazionale per comunicazioni
sociali della Cei: “Educare in
un mondo che cambia”, titola il primo capitolo del documento. Si parte dai “nodi della
cultura contemporanea”, che “vanno compresi e affrontati senza paura”, per arrivare
“alle radici dell’emergenza educativa”. Mons. Pompili, quali sono questi nodi e come
fare per capirli e non temerli?
R. – Direi che il nodo fondamentale
è proprio quello di reagire ad una diffusa tristezza che sembra tagliare le gambe
a qualsiasi proposta educativa. Si tratta per l’appunto di reagire a questa sorta
di fatalismo, che sembra una riedizione del paganesimo e di comprendere che al contrario
è possibile con la nostra libertà e con la nostra volontà crescere e realizzare compiutamente
la vocazione di ciascuno.
D. - Il cardinale Bagnasco esorta le Chiese
in Italia a crescere “nell’arte delicata e sublime dell’educazione”. Forse c’è stata
da parte della Chiesa arrendevolezza, rispetto per esempio ai media, che quando non
educano - e capita ormai raramente – diseducano, vanificando gli insegnamenti di famiglia
e scuola?
R. – Credo che l’esortazione di cui parla il cardinale Bagnasco
nella sua prefazione di orientamenti è giustificata dal fatto che siamo dentro ad
un momento di profonda trasformazione e che, dunque, anche per la Chiesa è necessario
riprendere consapevolezza della propria missione che ha una cifra esplicitamente educativa.
Credo che, certamente, l’attenzione della Chiesa, al mondo dei media, oggi della post-medialità,
sia sempre stata alta e credo che continuerà ad esserlo, tenendo conto del fatto che
ormai è l’ambiente nel quale siamo immersi e col quale fare i conti.
D.
– Ecco, il documento non parla espressamente in generale di media ma parla di "cultura
digitale"?
R. - Per l’appunto. Perché - è ben noto ormai a tutti - non
si tratta di trovarsi di fronte a degli strumenti o a dei semplici mezzi che potremmo
padroneggiare più o meno bene ma di capire esattamente come questo ambiente, così
profondamente connotato dai nuovi linguaggi, plasma la nostra coscienza, la nostra
intelligenza, la nostra volontà e da questo punto di vista chiama in causa l’esercizio
della nostra responsabilità. Come dice Benedetto XVI, dalle nuove tecnologie devono
venir fuori delle nuove relazioni.
D. - L’ultimo capitolo del documento
offre obiettivi e scelte prioritarie per una "vita buona". Che cosa si intende oggi
per “vita buona”?
R. – Direi così, con una battuta, che la vita buona
è l’esatto contrario della “dolce vita”. Sono passati 50 anni da quel film che, tra
l’altro, causò un ampio dibattito anche all’interno della Chiesa e che intendeva presentare
in maniera cifrata una sorta di china scivolosa verso cui la società italiana andava
a collocarsi. La vita buona è precisamente l’assunzione di una percezione e cioè si
tratta di vivere compiendo quel dono che è un progetto che c’è stato dato da Dio e
che chiama in causa tutta la nostra persona, cuore e intelligenza, affettività e razionalità