Mons. Béchara Raï sul Sinodo per il Medio Oriente: ora non ci sentiamo più minoranza
Torniamo in Medio Oriente con coraggio e fiducia per testimoniare la fede nelle nostre
terre: è quanto afferma mons. Béchara Raï, vescovo di Jbeil dei Maroniti in Libano,
che ai nostri microfoni traccia un bilancio del Sinodo appena concluso. Ieri mattina
il Papa ha presieduto nella Basilica di San Pietro la solenne celebrazione al termine
dell’assemblea speciale per il Medio Oriente, invitando i cristiani di questa regione
a farsi portatori della Buona Novella dell’amore di Dio per l’uomo. Ascoltiamo mons.
Béchara Raï, al microfono di Paolo Ondarza:
R. – Noi
torniamo, come bilancio personale e collettivo, con molta fiducia, con molto coraggio.
Non parliamo più di minoranza di cristiani in Medio Oriente: parliamo piuttosto di
una parte della Chiesa universale che si trova in Medio Oriente, a nome di tutta la
Chiesa universale, quindi forti nella consapevolezza di essere sostenuti dalla Chiesa
universale, e siamo lì, attingiamo la nostra forza dalla Chiesa e testimoniamo la
nostra fede. Il numero non conta più. Quindi, con coraggio, con molta speranza, con
molte idee, con molte iniziative noi torniamo a lavorare nelle nostre diocesi e parrocchie,
con i nostri concittadini musulmani o con i nostri connazionali nella Terra Santa,
o in Iran o anche in Turchia.
D. – Sono emersi, oltre che dei punti
di forza, anche delle distanze che forse restano ancora da colmare, per una piena
comunione?
R. – Sì, c’è un cammino nella nostra vita ecclesiale. Questo
scopo richiede un’unità – quindi, comunione, collaborazione, cooperazione, solidarietà
– per testimoniare, in tutti gli ambiti della vita: dobbiamo testimoniare. Siamo lì
per testimoniare.
D. – E questo è l’atteggiamento da assumere per quanto
riguarda il confronto, il dialogo con l’islam?
R. – Certamente! Dobbiamo
testimoniare ai nostri concittadini, connazionali, coloro con i quali viviamo, con
ancora maggiori difficoltà, perché siamo due culture diverse. Siamo sempre convinti
del fatto che noi dobbiamo portare il messaggio evangelico ai nostri fratelli musulmani,
i quali lo ricevono, non perché noi diciamo loro: voi dovete diventare cristiani!
Noi dobbiamo annunciare Cristo, e la Chiesa ci ha insegnato – in particolare il Vaticano
II – che ogni essere umano che, secondo la propria coscienza illuminata crede in Dio
e vive nella verità, nella bontà, nella giustizia e nei valori, è salvato da Gesù
Cristo. Questo discorso noi lo rivolgiamo ai musulmani: siamo fratelli nella Creazione,
ma siamo salvati tutti da Cristo. Tu sarai un ottimo musulmano e io sarò un ottimo
cristiano: così possiamo comporre la convivialità umana. Perché nell’islam non esiste
la libertà di coscienza, cioè la libertà di credere. Se un giorno un musulmano esprimesse
il desiderio, secondo la sua coscienza illuminata, di diventare – per esempio – cristiano,
non lo può fare perché viene ucciso. Noi dobbiamo capire questa realtà. A me interessa
dire al mio fratello musulmano: tutti e due siamo redenti da Cristo. Questo è un discorso
che io ho già fatto ai musulmani e quando lo faccio capiscono bene che non si tratta,
qui, di proselitismo, ma di esortare a vivere nel timore di Dio, e il timore di Dio
è per tutti gli uomini.
D. – E per conseguire questo rapporto di convivialità,
di vicinanza, è stata invocata la Vergine Maria, come figura riconosciuta dall’islam
…
R. – Questo è vero. Maria Santissima è riconosciuta come la benedetta
tra tutte le donne, come colei che “è la migliore di tutte le donne della Creazione”,
e anche loro lo dicono. Hanno avviato un’iniziativa, in Libano, quando musulmani e
cristiani hanno creato una festa nazionale il 25 marzo: la Festa dell’Annunciazione
a Maria. Per dire: ecco un punto che ci lega.
D. – Il suo augurio al
termine di questi lavori del Sinodo …
R. – Per me – e penso per tutti!
– è stata provvidenziale questa convocazione da parte del Papa Benedetto XVI, perché
sono certo che abbia acceso una luce nei cuori della gente del Medio Oriente, una
luce di speranza, di sguardo verso l’avvenire e di fiducia in se stessi e nel loro
avvenire. Noi ringraziamo il Signore.