2010-10-25 11:57:20

Mons. Béchara Raï sul Sinodo per il Medio Oriente: ora non ci sentiamo più minoranza


Torniamo in Medio Oriente con coraggio e fiducia per testimoniare la fede nelle nostre terre: è quanto afferma mons. Béchara Raï, vescovo di Jbeil dei Maroniti in Libano, che ai nostri microfoni traccia un bilancio del Sinodo appena concluso. Ieri mattina il Papa ha presieduto nella Basilica di San Pietro la solenne celebrazione al termine dell’assemblea speciale per il Medio Oriente, invitando i cristiani di questa regione a farsi portatori della Buona Novella dell’amore di Dio per l’uomo. Ascoltiamo mons. Béchara Raï, al microfono di Paolo Ondarza:RealAudioMP3

R. – Noi torniamo, come bilancio personale e collettivo, con molta fiducia, con molto coraggio. Non parliamo più di minoranza di cristiani in Medio Oriente: parliamo piuttosto di una parte della Chiesa universale che si trova in Medio Oriente, a nome di tutta la Chiesa universale, quindi forti nella consapevolezza di essere sostenuti dalla Chiesa universale, e siamo lì, attingiamo la nostra forza dalla Chiesa e testimoniamo la nostra fede. Il numero non conta più. Quindi, con coraggio, con molta speranza, con molte idee, con molte iniziative noi torniamo a lavorare nelle nostre diocesi e parrocchie, con i nostri concittadini musulmani o con i nostri connazionali nella Terra Santa, o in Iran o anche in Turchia.

D. – Sono emersi, oltre che dei punti di forza, anche delle distanze che forse restano ancora da colmare, per una piena comunione?

R. – Sì, c’è un cammino nella nostra vita ecclesiale. Questo scopo richiede un’unità – quindi, comunione, collaborazione, cooperazione, solidarietà – per testimoniare, in tutti gli ambiti della vita: dobbiamo testimoniare. Siamo lì per testimoniare.

D. – E questo è l’atteggiamento da assumere per quanto riguarda il confronto, il dialogo con l’islam?

R. – Certamente! Dobbiamo testimoniare ai nostri concittadini, connazionali, coloro con i quali viviamo, con ancora maggiori difficoltà, perché siamo due culture diverse. Siamo sempre convinti del fatto che noi dobbiamo portare il messaggio evangelico ai nostri fratelli musulmani, i quali lo ricevono, non perché noi diciamo loro: voi dovete diventare cristiani! Noi dobbiamo annunciare Cristo, e la Chiesa ci ha insegnato – in particolare il Vaticano II – che ogni essere umano che, secondo la propria coscienza illuminata crede in Dio e vive nella verità, nella bontà, nella giustizia e nei valori, è salvato da Gesù Cristo. Questo discorso noi lo rivolgiamo ai musulmani: siamo fratelli nella Creazione, ma siamo salvati tutti da Cristo. Tu sarai un ottimo musulmano e io sarò un ottimo cristiano: così possiamo comporre la convivialità umana. Perché nell’islam non esiste la libertà di coscienza, cioè la libertà di credere. Se un giorno un musulmano esprimesse il desiderio, secondo la sua coscienza illuminata, di diventare – per esempio – cristiano, non lo può fare perché viene ucciso. Noi dobbiamo capire questa realtà. A me interessa dire al mio fratello musulmano: tutti e due siamo redenti da Cristo. Questo è un discorso che io ho già fatto ai musulmani e quando lo faccio capiscono bene che non si tratta, qui, di proselitismo, ma di esortare a vivere nel timore di Dio, e il timore di Dio è per tutti gli uomini.

D. – E per conseguire questo rapporto di convivialità, di vicinanza, è stata invocata la Vergine Maria, come figura riconosciuta dall’islam …

R. – Questo è vero. Maria Santissima è riconosciuta come la benedetta tra tutte le donne, come colei che “è la migliore di tutte le donne della Creazione”, e anche loro lo dicono. Hanno avviato un’iniziativa, in Libano, quando musulmani e cristiani hanno creato una festa nazionale il 25 marzo: la Festa dell’Annunciazione a Maria. Per dire: ecco un punto che ci lega.

D. – Il suo augurio al termine di questi lavori del Sinodo …

R. – Per me – e penso per tutti! – è stata provvidenziale questa convocazione da parte del Papa Benedetto XVI, perché sono certo che abbia acceso una luce nei cuori della gente del Medio Oriente, una luce di speranza, di sguardo verso l’avvenire e di fiducia in se stessi e nel loro avvenire. Noi ringraziamo il Signore.







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