Epidemia di colera ad Haiti: 250 morti, a rischio i bambini
E’ salito ad oltre 250 il numero dei morti dell’epidemia di colera che sta colpendo
Haiti mentre 3.000 sarebbero i contagiati, 5 dei quali nella capitale Port-au-Prince.
In particolare sono i bambini i più a rischio. Una situazione drammatica, in un Paese
già in ginocchio dopo il terremoto dello scorso gennaio, che provocò 250mila morti.
Le notizie che giungono dall’isola, però, sono piuttosto contrastanti: se da una parte
si teme che l’epidemia possa espandersi a dismisura, dall’altra le autorità locali
parlano di una situazione stabilizzata e sotto controllo. Salvatore Sabatino
ne ha parlato con Gianfranco De Majo, responsabile medico di Medici senza Frontiere
Italia:
R. - Le autorità
hanno subito ammesso che si tratta di colera. In genere, i Paesi fanno grosse resistenze
ad affermare che ci sono queste epidemie. L’anno scorso abbiamo avuto una grande epidemia
in Zimbabwe che è stata negata per tantissimo tempo e questo ha aumentato il numero
dei morti. L’epidemia in corso non ha niente a che fare con il terremoto, nel senso
che il focolaio si trova nella zona del centro del Paese e poi i casi registrati a
Port au prince sono ancora sospetti, nel senso che non sono stati ancora confermati,
però, trattandosi di persone provenienti dall’Artibonite, quindi da questa zona centrale
del Paese, è probabile che siano casi di colera.
D. – Di allarmi per
possibili epidemie si era parlato già nei mesi scorsi perché secondo lei non si è
riusciti a bloccarle?
R. – Durante il terremoto si è parlato un po’
a sproposito del rischio di epidemie perché l’epidemia c’è quando ci sono dei casi
endemici già presenti. Il ministero della Salute di Haiti dice che da 100 anni non
si registravano casi di colera; noi possiamo testimoniare che dal 1981, da quando
siamo presenti nel Paese, non abbiamo mai registrato casi di colera. Quindi, evidentemente,
siccome il contagio è solo interumano, il vibrione è stato portato negli ultimi tempi
da qualche portatore sano, come è successo, del resto, negli anni ’90 in America Latina.
L’America Latina era libera completamente dal colera, lo è stata per secoli: i contagi
sono cominciati negli anni ’90.
D. – Quanti sono attualmente gli operatori
di Medici senza frontiere ad Haiti e di cosa hanno urgentemente bisogno?
R.
– Dunque, noi siamo in 20, adesso, nella zona di Artibonite, in particolare nell’ospedale
di Saint Marc dove abbiamo lavorato fino al 2004 in pianta stabile e, quindi, conosciamo
le autorità che subito ci hanno riaperto le porte. Siamo anche nell’Ospedale di Cange
che si trova un po’ nell’interno e dove però c’è anche un’organizzazione americana
che lavora e lì già ci sono 20 casi. Il colera in realtà è una malattia assolutamente
mortale se non viene riconosciuta ma nel momento in cui i casi vengono identificati
la terapia è facilissima, è solo con acqua e sale. Siamo pronti ad affrontare anche
fino a trecento casi a Port au prince e, quindi, abbiamo predisposto i letti adatti,
il campo, perché ci vuole un isolamento, ci vogliono delle tende particolari. Diciamo
che i nostri operatori sono centinaia ancora in Haiti tra staff nazionale e staff
espatriato e questa del colera per noi, purtroppo, non ad Haiti, ma in altri Paesi
africani, è una costante per cui una volta che il problema è riconosciuto da un punto
di vista medico, e lo Stato non lo nega, l’epidemia in genere si controlla facilmente.