2010-10-24 12:17:05

Sugli schermi in Italia il film "Uomini di Dio" sulla vicenda dei 7 Trappisti uccisi in Algeria


E’ arrivato nelle sale italiane “Uomini di Dio” il film del regista Xavier Beauvois che racconta la storia dei 7 frati Trappisti, rapiti e assassinati a Tibhirine, in Algeria, sulle montagne del Maghreb, nel marzo del 1996. Una drammatica vicenda ancora al centro di un’inchiesta giudiziaria, vista attraverso gli occhi di chi ha scelto, nonostante le difficoltà e i pericoli di restare in una terra difficile, seguendo Cristo fino al sacrificio estremo. Tante le tematiche affrontate in questa pellicola: dalla spiritualità monastica, all’impegno verso il prossimo, passando per la difficile costruzione del dialogo e della comunione tra cristiani e musulmani. Cecilia Seppia ne ha parlato con padre Tommaso Georgeon, Abate del Monastero di Frattocchie vicino Roma:RealAudioMP3

R. – Questo film mostra benissimo qual è stata la vita dei fratelli e anche tramite il ritmo del film, la scelta dei Salmi ci mostra davvero in modo magnifico la doppia fedeltà dei fratelli, a Cristo e al prossimo.

D. – Ecco, qui c’è proprio il messaggio forte di una comunità monastica che si pone domande di coscienza e che proprio per fedeltà alla vocazione decide di rischiare la propria vita …

R. – Questa comunità ad un certo momento ha avuto come il dono dello Spirito Santo; ma non è che hanno scelto di morire: hanno soprattutto scelto di amare e amare significava amare il prossimo e anche amare Cristo fino alla morte, come firmiamo nella nostra professione solenne. Nessuno, quando firma questo documento, pensa che la sua vita potrebbe anche essere data tramite il martirio. I fratelli, ad un certo punto, hanno avuto la certezza che si trattasse della chiamata di Cristo. Credo che il messaggio più importante di questo film sia saper scegliere di amare.

D. – Nel film viene sottolineata più volte la volontà di un incontro umano e spirituale con i musulmani. C’è anche in questo caso un messaggio attuale – che poi è stato ribadito più volte anche al Sinodo per il Medio Oriente – la volontà di costruire un ponte, un futuro comune tra credenti di diverse religioni?

R. – Ciò che Giovanni Paolo II ha sviluppato, parlando della spiritualità di comunione, penso che i fratelli abbiano veramente provato a viverlo. La figura più importante del monastero di Tibhirine era il medico, fra Luca, che ha vissuto curando tutte le persone che venivano a trovarlo: è stata una vita data a Cristo tramite la cura dell’altro, in cui si riconosce Cristo.

D. – Nel film il regista non si concentra tanto sull’indagine giudiziaria che è alla base di questa drammatica vicenda, ma sulla vita quotidiana monastica dei protagonisti: il lavoro, l’impegno per il prossimo. Quella dei frati Trappisti è una spiritualità che attrae, anche oggi?

R. – Oggi la difficoltà della nostra vita – che ovviamente è una vita bellissima, tutta dedicata a Dio – è una questione di fede, di convinzione e di abbandono. C’è crisi anche nella vita monastica, perché c’è proprio la “crisi dell’impegno”: è una vita che richiede un impegno fortissimo, e questo nel film si vede benissimo! I fratelli hanno un legame talmente forte, non soltanto tra di loro, ma pure con la terra, che non vogliono lasciare. Loro avevano la scelta, eppure non hanno scelto di andare via.







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