Beatificata a Vercelli suor Alfonsa Clerici, tra i poveri con la pedagogia della
dolcezza
Una vita dedicata all’insegnamento e ai poveri, quella di Alfonsa Clerici, la religiosa
delle Suore del Preziosissimo Sangue di Monza che sabato mattina è stata beatificata
nel Duomo di Vercelli, nel corso di una solenne celebrazione presieduta da mons.
Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi e prossimo cardinale.
In questa città la religiosa fu chiamata a svolgere la sua missione, come ci racconta
Roberta Barbi:
La chiamavano
il “sorriso dell’anima” perché la sua, in unione piena e incondizionata con il Signore,
in totale adesione al piano divino, certamente sorrideva e perché faceva sorridere
le anime di tutti coloro che entravano in contatto con lei: dalle alunne alle quali
si dedicò attraverso l’insegnamento, ai poveri. Primogenita di dieci figli di una
famiglia contadina del Milanese, Alfonsa Clerici, nata nel 1860, ebbe un’educazione
essenziale e cristiana, che contribuì a plasmare quella “pedagogia della dolcezza”
che applicava soprattutto ai caratteri più difficili, negli anni dell’insegnamento
prima da laica e poi da religiosa delle Preziosine, quando fu chiamata come responsabile
del “Ritiro della provvidenza”, come ci ricorda mons. Amato:
“La nostra
Beata aveva come programma non tanto la repressione delle mancanze, quanto la prevenzione
delle mancanze delle giovani. Il tutto accompagnato da una grande pazienza e carità”.
I
poveri erano l’altra sua grande passione: ad essi non rifiutava mai di donare con
gioia e spirito di carità. Nessuno di coloro che la cercavano se ne andava via a mani
vuote, ma con almeno un pezzo di pane, una moneta, una carezza o una parola di conforto:
“Soleva
dire che essere caritatevoli con i poveri significava servire e amare Gesù. Quando
qualcuno ribatteva che anche la Casa della Provvidenza era povera e che con le continue
elemosine che lei faceva ne soffriva, replicava: più si dà ai poveri e maggiore Provvidenza
entra in casa”.
Madre Alfonsa, da direttrice dell’Istituto della Provvidenza,
si trovò ad affrontare anche una sfida simile a quelle di oggi: risanare una crisi
economica della struttura dovuta a una cattiva gestione esterna. Fu un riordino economico,
ma anche un rinnovamento spirituale e del metodo educativo, di una comunità “da riformare,
ma non da disperdere”. La religiosa, con pazienza e con la preghiera, vinse anche
questa sfida, applicando la sua particolare ricetta dell’umiltà:
“A
una ex-alunna, diventata novizia scrisse: ‘Se tu mi chiedessi quale via devi prendere
per farti Santa, ti dirò: l’Umiltà. La seconda via è l’Umiltà, la terza ancora l’Umiltà’.
Era talmente abitata da questa virtù che s’impegnò con voto alla pratica dell’umiltà”.