Intervento di S.E. Emmanuel ADAMAKIS, Metropolita di Francia (FRANCIA), Delegato Fraterno
Sua Santità il Patriarca Ecumenico Bartolomeo mi ha pregato di porgervi, a nome del
Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli e Chiesa sorella, tutti i suoi auguri di felice
esito in occasione dello svolgimento, in questi giorni, del Sinodo dei vescovi per
il Medio Oriente. Il Medio Oriente attira e affascina. È proprietà di tutti e non
soffre di esclusività. Terra sacra, è anche santa per noi cristiani, perché è in questa
regione del mondo che è piaciuto a Dio offrirci la più incredibile delle promesse,
quella della risurrezione. Questa terra, primo testimone attraverso le epoche dell’opera
salvifica di Cristo, partecipa tuttavia di ciò che il filosofo Pascal descriveva come
la sua agonia attraverso le epoche. Infatti, l’attualità non cessa di ricordarci le
divisioni, le separazioni, le sofferenze quotidiane alle quali alcune frange della
popolazione sono sottoposte, al primo posto i cristiani della regione. Non possiamo
che felicitarci per lo svolgimento di questa Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi
dedicata al Medio Oriente. Il mondo attende da questa riunione un messaggio forte,
che siano proposti dei gesti concreti. Ne va non solo della responsabilità della Chiesa
Cattolica in quanto organizzatrice di questo Sinodo, ma anche di ognuna delle Chiese
che partecipano a titolo di “Delegati fraterni”, al di là delle nostre differenze,
che sono stati semplicemente invitati a prendere parte attiva alla discussione.
Perciò, desidereremmo sottolineare due fatti che ci sembrano essenziali. Il
primo riguarda la scomparsa progressiva del cristianesimo in Medio Oriente. Come far
permanere la presenza dei cristiani nella regione tenendo conto dei nostri dialoghi
bilaterali? Il documento di lavoro del Sinodo, l’Instrumentum laboris, ricordiamolo,
è stato reso pubblico da Papa Benedetto XVI in occasione del sua viaggio ufficiale
a Cipro, nel giugno 2010. Si tratta dunque di un segno rivolto non solo agli orientali
cattolici, ma anche alla Chiesa Ortodossa e ai suoi fedeli. A questo proposito, è
opportuno ricordare l’importanza della presenza ortodossa all’interno delle società
orientali. Così, il pluralismo locale deve essere in grado di far progredire le nostre
varie iniziative di dialogo e di concretizzarsi in altrettante cooperazioni necessarie
e utili per il bene di un numero crescente e la trasmissione efficace della testimonianza
evangelica. In effetti, sottolineando le buone relazioni che le nostre Chiese mantengono
attualmente, la speranza tangibile di una prossima unione avrà un effetto catalizzatore.
Un’unione garantirebbe il permanere della presenza cristiana localmente. In un
secondo tempo, vorremmo offrire un chiarimento particolare sulle nostre capacità di
dialogare con le altre componenti religiose della regione e in particolare con i nostri
fratelli musulmani ed ebrei. L’accumulo di iniziative che, al giorno d’oggi, il dialogo
interreligioso conosce non deve farci perdere di vista il fatto che le iniziative
istituzionali non sono pertinenti se non quando l’insieme delle società viene ad essere
investito della necessità di un vivere insieme nella pace. Il Medio Oriente, infatti,
deve abbandonare la tesi dello scontro di civiltà. Perché sì, un vivere insieme è
realizzabile, secondo modalità che non saranno dettate da terzi, ma da quanti vi vivono
giorno dopo giorno. Sono essi “il sale della terra”. Ora, la prima condizione inalienabile
per qualsiasi coesistenza rimane la garanzia della libertà religiosa per tutti. Solo
su questa base i rapporti fra le religioni, i popoli e le culture saranno in grado
di favorire l’emergenza di ciò che Lévi-Strauss chiamava “la coesistenza di culture
che presentano fra di loro la più grande diversità”. Infine, auspichiamo che questo
Sinodo rafforzi i legami che uniscono tutti i cristiani della regione, con chiarezza,
coraggio e amore. Ma anche che, evitando qualsiasi paternalismo eccessivo nei confronti
dei cristiani d’Oriente, sappiamo anche noi metterci alla scuola della loro realtà.
È dunque nostro dovere, per non dire nostra responsabilità, che questo Sinodo non
si aggiunga alla lunga lista degli incontri senza domani, quanto meno per rispetto
verso coloro che soffrono e per impegno verso la nostra fede. Preghiamo perché
il Signore ispiri tutti i partecipanti di questo incontro e che, nella pace, conceda
di avere alla “moltitudine dei credenti un cuor solo e un’anima sola” (At 4,32).