2010-10-22 14:11:40

Aperta a Roma la fase diocesana della Causa di beatificazione del cardinale Van Thuan, grande testimone della fede


La vita di uno dei grandi testimoni della fede del Novecento, il cardinale Xavier Nguyên Van Thuân, scomparso nel 2002, è da oggi al centro della fase diocesana della Causa di beatificazione che lo riguarda, aperta nel Palazzo Lateranense di Roma. A prendere la parola questa mattina sono stati il cardinale vicario, Agostino Vallini, e il cardinale Peter K. A. Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, carica che il cardinale Van Thuân ricoprì dal 1998 alla sua morte. Alla Lateranense, invece, si è tenuta la cerimonia di consegna del Premio Van Thuân 2010, attribuito a Juan Somavia, direttore generale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro. E molte altre sono le iniziative religiose e culturali che intendono ricordare il porporato, per 13 anni rinchiuso in carcere dal regime ateo vietnamita senza che questo riuscisse a spezzare la sua fedeltà a Cristo. Un profilo del cardinale Van Thuân in questo servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3

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Quando gli chiese un pezzo di filo elettrico, il carceriere – che pure aveva imparato a conoscerlo – si spaventò. Bastava anche quello per suicidarsi e il suicidio era per tanti prigionieri un’allettante via di fuga. Non per quel prigioniero, però. Quel prete era un uomo mite, attaccato alla vita, attaccato al suo Dio. Il carceriere fece di meglio, ritornò con una pinza e assieme forgiarono una catenella alla quale il prigioniero attaccò la rozza crocetta di legno che si era costruito in un altro carcere. Un episodio tra i tanti, che raccontano la storia di un’anima che ha commosso chiunque l’abbia ascoltata. Xavier Nguyên Van Thuan, sacerdote, vescovo e prigioniero. Tredici anni, nove in isolamento, da quando nel 1975 Paolo VI lo volle coadiutore a Saigon e la dittatura vietnamita dietro le sbarre, senza processo, perché la nomina di uomo di Chiesa non poteva essere altro che un “complotto tra il Vaticano e gli imperialisti”.

Un uomo sepolto vivo, per essere un cristiano in meno, e diventato un’icona di Cristo grazie a una eccezionale saldezza umana e a una fede incrollabile e intraprendente – una mollica per fare l’ostia, tre gocce di vino in mano a mo’ di calice e di altare, carta di sigarette come tabernacolo – con la cella che gli aguzzini consideravano una tomba e invece era una chiesa. Cinque anni dopo la sua morte, avvenuta il 16 settembre 2002, Benedetto XVI gli dedicò questo pensiero:

“Il cardinale Van Thuân era un uomo di speranza, viveva di speranza e la diffondeva tra tutti coloro che incontrava. Fu grazie a quest’energia spirituale che resistette a tutte le difficoltà fisiche e morali. La speranza lo sostenne come vescovo isolato per 13 anni dalla sua comunità diocesana; la speranza lo aiutò a intravedere nell’assurdità degli eventi capitatigli - non fu mai processato durante la sua lunga detenzione - un disegno provvidenziale di Dio”. (17 sett. 2007, discorso al Pontificio Consiglio Giustizia e pace)

Nel 2000, l’anno prima di essere creato cardinale, Giovanni Paolo II lo invitò a predicare gli esercizi spirituali della Quaresima in Vaticano. Preso in contropiede sul tema da proporre, fu anticipato dal Papa stesso: “Ci porti la sua testimonianza”. Il calvario patito in quei 108 mesi fu raccontato da mons. Van Thuan con una delicatezza e un fuoco da togliere il fiato. Le parole bimillenarie della Scrittura, citate da lui, sembravano avere un altro peso, quasi fossero un tutt'uno con chi le pronunciava. La stessa impressione si ebbe anche ascoltandolo durante l’ultima meditazione dedicata ai discepoli di Emmaus, quando sentono il cuore riscaldato e felice dopo aver avuto per compagno di cammino Gesù:

“Il cammino percorso con loro indica l’ineffabile certezza del suo essere con noi: come luce che illumina è fuoco che riscalda i cuori. Con questo ritorno (…) a Cristo, la nostra tristezza diventa gioia, una gioia grandissima che nessuno può dare, perché Gesù ci ha resuscitato. Quando siamo nel peccato siamo morti. Nessuno mai si prende cura dei morti, nessuno si prende cura dei cadaveri. E’ impossibile, ma Gesù l’ha fatto (...) Siamo felici e questa è la nostra gioia e la nostra speranza”. (18 marzo 2000 - meditazione conclusiva Esercizi spirituali della Quaresima)

Commosso da questa fede adamantina e cristiana nel senso più vero – e cioè gioiosa – Giovanni Paolo II lo ringraziò con queste parole:

“Testimone egli stesso della croce, nei lunghi anni di carcerazione in Vietnam, ci ha raccontato frequentemente fatti ed episodi della sua sofferta prigionia, rafforzandoci così nella consolante certezza che quando tutto crolla attorno a noi, e forse anche dentro di noi, Cristo resta l’indefettibile nostro sostegno”. (18 marzo 2000 – discorso a conclusione degli Esercizi spirituali della Quaresima)

Un anno prima della morte, in veste di presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e pace, il cardinale Van Thuan preparava con il Papa il raduno di Assisi del gennaio 2002, convocato dopo le stragi dell’11 settembre. In quella occasione, il collega Fabio Colagrande lo avvicinò e gli chiese se quella speranza, diventata quasi un secondo nome per lui, fosse mai venuta meno negli anni bui della prigionia. Questa la risposta:

“Io ho avuto momenti veramente difficili, la tentazione della vendetta, la tentazione della disperazione… ma nel momento più critico, nell’abisso della mia miseria, della mia debolezza umana, in quel momento il Signore mi ha teso la mano e la speranza è ritornata, come la luce dopo la pioggia”.
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