L’intervento del ministro degli Esteri italiano Frattini al Convegno in Campidoglio
sul Sinodo per il Medio Oriente
Martedì scorso, 19 ottobre, una delegazione del Sinodo è intervenuta in Campidoglio
al Convegno intitolato “Medio Oriente. La testimonianza cristiana al servizio della
pace”, promosso dal Comune di Roma, insieme alla Fraternità di Comunione e Liberazione
e alla Radio Vaticana. In questa occasione il ministro degli Esteri italiano, Franco
Frattini, ha tenuto un discorso. Ecco il testo:
Grazie in primo luogo
per questa occasione ulteriore di riflessione. Ho avuto già l’onore di essere a colloquio
con i patriarchi e con S.E. il Segretario Generale del Sinodo. Continuiamo quindi
queste riflessioni in pubblico su un tema che gli organizzatori, a ben vedere, hanno
fatto bene a proporre questa mattina ad una assise così qualificata. Ritengo che sia
un tema che debba trovarci tutti consapevoli, cruciale per il futuro del nostro mondo.
Padre Lombardi ha appena detto che è proprio in Medio Oriente che l’Ebraismo,
il Cristianesimo e l’Islam non soltanto sono nati, ma si sono sviluppati per molti
secoli con un percorso di maturazione spirituale che certamente ha favorito uno sviluppo
profondo di idee, di esperienza, di vita individuale e collettiva. Purtroppo, a partire
soprattutto dalla tragedia che ha cambiato il nostro passato recente (l’11 settembre),
si è affermata nel mondo una tendenza a definire in modo esclusivo o, peggio, esclusivistico
le identità di appartenenza. Vi è chi ha parlato, e chi parla tuttora, di conflitto
tra religioni e civiltà, chi parla di conflitto tra Cristianesimo e Islam, tra Islam
e Occidente. Sono convinto che se vi è uno scontro nel nostro mondo è tra tolleranza
e dialogo da un lato, e intolleranza ed estremismo, dall’altro. Personalmente rifiuto
la tesi secondo cui è in corso oggi uno scontro irrisolvibile tra culture, religioni
e civiltà ma è innegabile che il conflitto tra tolleranza ed estremismo ha inciso
particolarmente sui cristiani. Spesso si determina una situazione che può essere emblematicamente
descritta citando il titolo di una pubblicazione recente sull’argomento: I cristiani
e il Medio Oriente. La grande fuga (di Fulvio Scaglione, 2008, pagg. 235, Edizioni
San Paolo, ndr). Il titolo del volume dà un’impressione drammatica di qualcosa che
può, e potrebbe accadere. E’ stato ricordato dal Segretario Generale, S.E. Mons. Eterovic,
come il numero dei cristiani in Medio Oriente era già diminuito nel secolo scorso.
Oggi sta calando drammaticamente. Più in generale, le comunità cristiane rischiano
di ridurre la loro presenza e la loro diffusione territoriale.
Aumentano
gli episodi di violenza contro le minoranze cristiane e questo è un fenomeno a cui
dobbiamo guardare con grande preoccupazione. Ho letto un rapporto recente sulle restrizioni
religiose, pubblicato da The Pew Forum on religion and public life, un’istituzione
americana affidabile. Tale indagine indica come elemento generale che su 100 morti
causati dall’odio e dall’intolleranza religiosa nel mondo, 75 sono cristiani. Una
percentuale che ci terrorizza. Sono decine di migliaia i cristiani oggetto ogni anno
di persecuzioni, di violenze personali, di confische patrimoniali, di intimidazioni.
Il loro desiderio di vivere in pace e certamente nella convivenza con altre religioni
viene negato, spesso addirittura punito per il solo fatto della appartenenza cristiana.
Emerge anche dagli interventi di questo convegno un quadro generale
riferito alla situazione mediorientale di grande sofferenza delle comunità cristiane
colpite duramente in Iraq, divise in Libano, soggette alle ripercussioni dell’islamizzazione
in molti paesi arabi, costrette altrove a resistere agli abusi di regimi autoritari,
di vere e proprie dittature che perseguono e colpiscono i cristiani. Credo che non
sia un’espressione troppo forte se dico che la “cristianofobia” oggi è un rischio
crescente e molto più concreto, che in qualche modo abbiamo paventato negli ultimi
anni, ma che oggi dobbiamo temere giorno dopo giorno. Le comunità cristiane fronteggiano
oggi una sfida grande, quella derivante dal vivere in paesi dove vi sono fratture
politiche interne e crisi internazionali e una sfida che deriva dalla presenza talvolta
fanatica di movimenti fondamentalisti e integralisti che spesso tendono a confondere
i cristiani, i portatori della fede cristiana, come una caratterizzazione culturale
dell’Occidente da colpire e da contrastare. Questo è un fenomeno particolarmente pericoloso.
In molti contesti le comunità cristiane vivono in modo veramente assurdo
una condizione di isolamento e di estraneità, pur essendo state nella storia proprio
le chiese orientali i centri propulsori e di irradiazione del Cristianesimo. Ciò accade
nonostante le comunità cristiane siano presenti sul territorio molto prima dell’arrivo
dell’Islam. Questi sono fenomeni a cui dobbiamo guardare con preoccupazione. In alcuni
casi il maggiore coinvolgimento delle popolazioni nella vita politica ha portato ad
esasperare sia le contrapposizioni tra le varie comunità, sia l’ispirazione identitaria
religiosa confondendo la religione con lo stato e comprimendo quindi quel rispetto
della libertà e dell’uguaglianza di diritti personali, sociali, civili, religiosi
di tutte le minoranze. Non solo della minoranza cristiana. Credo che questo rispetto
dovrebbe essere un indicatore della maturità, del grado di una democrazia. Sono convinto che un’analisi politica della presenza cristiana in Medio
Oriente si debba articolare nella dimensione politico-internazionale (i conflitti
aperti e quelli latenti); la dimensione simbolico-identitaria (i caratteri prevalentemente
religiosi di alcuni movimenti che nascono e purtroppo si alimentano nell’estremismo)
e la dimensione democratica (quella dei diritti e cioè il tema cruciale della libertà
religiosa). Il grande obiettivo della pace, che è obiettivo dei patriarchi, della
Chiesa ma credo debba esserlo di tutte le democrazie, deve essere perseguito promuovendo
una sinergia tra tutte queste dimensioni. Dobbiamo avere una visione complessiva sia
delle sfide che abbiamo davanti, sia del contributo che possiamo portare. Abbiamo
la necessità di ricomporre un tessuto di rapporti tra stati, all’interno di comunità
e tra le comunità, in modo da evitare le lacerazioni sia di origine antica, che recente.
Tutti questi nodi sono affrontati con grande lungimiranza nell’Instrumentum laboris.
Il documento di partecipazione e di preparazione del Sinodo per il Medio Oriente tocca
questioni di primaria rilevanza quali la conoscenza reciproca tra le tre religioni
monoteiste, la necessità del comune impegno per la pace, la concordia, la promozione
dei valori spirituali e anche quel concetto che a me è particolarmente caro di laicità
positiva come apporto dei cristiani alla promozione di una democrazia sana, positivamente
laica, che riconosca però proprio per questo il ruolo della religione anche nella
vita pubblica.
A me ha colpito molto l’appello ai cristiani a non ripiegarsi,
a non arretrare sotto i colpi delle avversità, ma a continuare ad avere un comportamento
attivo per diffondere uno spirito di riconciliazione. Mi ha colpito in particolare
quella bellissima frase che il vostro documento chiama “pedagogia della pace”. Questo
vuol dire denunciare la violenza, da qualunque parte provenga, in nome di quel valore
che voi ci insegnate e che per la fede di noi cristiani è fondamentale: il perdono.
E’ un compito ovviamente difficilissimo, che richiede coraggio, ma è indispensabile
per recuperare quel senso di dialogo tra le fedi che è indispensabile per ottenere
la pace. I cristiani certamente dovranno essere sempre più consapevoli
del valore essenziale della loro presenza in Medio Oriente, un valore ampiamente riconosciuto.
I cristiani dovranno essere consapevoli anche di ricercare con i musulmani un’intesa
su come contrastare quegli aspetti che, al pari dell’estremismo, minacciano la società.
Mi riferisco all’ateismo, al materialismo e al relativismo. Cristiani, musulmani ed
ebrei possono lavorare per raggiungere questo comune obiettivo.
Credo
che occorra un nuovo umanesimo per contrastare questi fenomeni perversi, perché soltanto
la centralità della persona umana è un antidoto che previene il fanatismo e l’intolleranza.
Ecco perché la politica estera italiana vede nella promozione della libertà religiosa
un punto fondamentale, trattandosi di un diritto fondamentale di ciascuna persona
umana. Non è una questione collettiva, è una questione della persona.
Il
governo italiano ha fatto molto. Ci siamo impegnati nell’Unione Europea. Ho promosso
un’azione complessiva che potesse portare ad un sostegno europeo alla libertà religiosa,
promuovendo i diritti delle persone che appartengono alle minoranze religiose, pensando
ovviamente alla minoranza cristiana che in molti paesi del mondo soffre. Ritengo che
ogni stato debba vigilare sulla questione per evitare l’intolleranza.
Ho
agito anche presso le Nazioni Unite lo scorso mese di settembre. Prendendo la parola
a nome dell’Italia ho promosso una risoluzione all’Assemblea Generale sulla libertà
religiosa e sui diritti di tutte le minoranze ad esprimere la loro religione. Mi auguro
che arrivi un ampio sostegno a questa ipotesi di risoluzione (siamo quasi a 30 paesi
che hanno dato la loro disponibilità), per questo lancio un appello. Non ancora tutti
i paesi dell’Unione Europea hanno fatto questo passo. Lo dico con un po’ di tristezza,
ma mi auguro che a questi trenta paesi molti altri se ne aggiungeranno e che tale
risoluzione possa essere approvata nella sessione che si è appena aperta dall’Assemblea
Generale.
Abbiamo anche ritenuto di agire come Governo Italiano contro
una sentenza che tutti voi conoscete bene attraverso cui la Corte di Strasburgo ha
vietato l’esposizione del Crocefisso nei luoghi pubblici. Sono convinto - ma è la
convinzione del Governo Italiano - che il Crocefisso rappresenti il diritto ad esprimere
il proprio credo e che non vi sia nessuna contraddizione tra questo simbolo, che è
un simbolo di pace e di riconciliazione, e lo stato laico che tutela tutte le religioni.
Uno stato che tutela però anche la mia religione, quindi ho il diritto di professarla
anche pubblicamente. L’azione dell’Italia (la prima del genere presso la
Corte di Strasburgo) è stata sostenuta da dieci paesi, piccoli come Cipro e grandi
come la Russia. Con grande dolore rilevo che solo l’Italia tra i paesi fondatori dell’Unione
Europea ha sottoscritto questo ricorso, perché le stesse nazioni che hanno ritenuto
di fondare l’Europa non hanno condiviso con noi tale azione di libertà, che è poi
un pilastro nella Carta dei Diritti che l’Unione Europea ha voluto costruire.
Per
la condizione dei cristiani in Medio Oriente noi abbiamo attenzione e seguiamo con
la politica estera italiana la presenza cristiana in Medio Oriente che, malgrado il
calo complessivo in termini numerici, rappresenta ancora oggi un elemento fondamentale
per quei paesi. Conoscete perfettamente i dati statistici riguardanti la riduzione
della presenza dei cristiani, ma noi siamo preoccupati perché tale riduzione è spesso
generata dall’instabilità politica in quei paesi, dalla mancanza di prospettive economiche
e dalla radicalizzazione che in alcuni paesi si sta diffondendo. La presenza cristiana
è una grande ricchezza per quella regione e per questo va sempre tutelata. Ecco quindi
che l’Italia concorda fortemente con l’azione propiziata dal Sinodo per il Medio Oriente
a tutela della presenza cristiana nelle terre in cui il Cristianesimo è nato.
Noi
abbiamo molto a cuore questa testimonianza che, anzitutto in Terra Santa, svolgono
i cristiani e le istituzioni cattoliche attive in loco. Riteniamo, ad esempio, che
l’auspicato e purtroppo tardivo regolamento della pace nel conflitto israelo-palestinese
sarà certo un elemento, quando la pace avverrà, che migliorerà fortemente la condizione
dei cristiani in Terra Santa contribuendo a preservare quel carattere multiconfessionale
e multiculturale della città santa di Gerusalemme. Questo è un tema fondamentale che
sta a cuore a noi cristiani, così come ai fedeli delle altre religioni.
Certamente
penso all’impegno dell’Italia in Libano, un impegno che continuerà, e che non può
prescindere dalla specificità anche sotto questo profilo di quel paese. Ricordo la
definizione del Santo Padre che ha chiamato il Libano “paese messaggio” proprio per
il suo esempio di coesistenza pacifica tra le religioni, e credo che certamente l’Italia
debba continuare ad impegnarsi per aiutare il Libano non soltanto nelle aree a prevalenza
cristiana, ma là dove vi sono tutti coloro che vivono in quel paese (sciiti, sunniti,
drusi e ovviamente cristiani) proprio perché sia salvaguardato il carattere multiconfessionale
del Libano.
Penso ai cristiani in Iraq. Ho visitato varie volte il
paese e in ciascuna occasione ho chiesto di porre fine alle violenze e alle persecuzioni
(ricordo, in particolare, le stragi di Mossul). Sempre per quel che riguarda l’impegno
del governo italiano, vorrei ricordare i miei recenti incontri con il Presidente del
Kurdistan iracheno e la missione a Baghdad non appena un nuovo governo iracheno si
sarà stabilito. Porrò l’accento in quella occasione sul fatto che la minoranza cristiana
in Iraq è una componente essenziale per la storia e per la società di quel paese.
Penso all’Egitto, paese che noi amiamo e che ha con l’Italia una storia
importante, direi secolare e millenaria. Costantemente incoraggiamo il governo locale
a valorizzare la comunità copta che vive in Egitto, nel quadro di una parità di religioni
che, sulla base della Costituzione, gli amici egiziani hanno sempre riaffermato. Ricordo
che all’indomani di una tragica vicenda che ha portato alla morte violenta di cristiani
in Egitto, mi recai sul posto ricevuto dal presidente Mubarak, il quale espresse ancora
una volta un messaggio politico forte quando mi disse e ripeté pubblicamente “Viviamo
tutti, musulmani e copti, sotto una stessa bandiera di una stessa patria basata sul
principio di cittadinanza”. Questo è il pensiero che in terra egiziana io credo che
debba essere sempre ripetuto e confermato.
Guardiamo alla Turchia, paese
di cui l’Italia sostiene con forza il percorso di avvicinamento all’Unione Europea.
Lo sosteniamo perché incoraggiamo un processo di modernizzazione e di riforme in quel
paese. Guardiamo ovviamente alla comunità cristiana in Turchia, una comunità che si
è grandemente ridotta, che ha sofferto per la morte violenta di alcuni esponenti di
straordinario valore spirituale. Il pensiero va ovviamente a mons. Padovese. Noi incoraggiamo
Ankara a compiere passi ulteriori per la tutela delle minoranze religiose e, in particolare,
della minoranza cristiana. Speriamo che quel referendum costituzionale che ha certamente
fatto compiere un passo avanti alla Turchia verso l’Europa porti dei benefici.
Ma
noi guardiamo anche all’Iran, un paese con cui il mondo cerca con forza di riaprire
un dialogo su questioni delicate ma dove la comunità cristiana rappresenta una componente
sociale di rilievo. Nel rispetto dell’autonomia e dell’indipendenza di tutti i paesi
e quindi ovviamente anche dell’Iran, guardiamo con attenzione forte alle istanze dei
cristiani iraniani e alla volontà di tutte le minoranze che vogliono avere un ruolo
nella società.
Concludo queste mie riflessioni con l’auspicio che i
lavori del Sinodo per il Medio Oriente, l’impegno delle comunità cristiane nel mondo
e dei governi che come l’Italia sono sensibili a queste tematiche, possano operare
per promuovere la convivenza. Abbiamo dei paesi che sono un esempio positivo nel Medio
Oriente. Tra questi la Siria e il Regno di Giordania. Paesi a cui guardiamo con simpatia
anche per questo elemento che li caratterizza, ma non dimentichiamoci che a livello
di realtà locale, a livello di comunità, di giovani e di giovanissimi, i cristiani
e i musulmani hanno imparato da molto tempo a vivere e a convivere in pace tra loro.
Evitiamo che siano i governi e i conflitti politici a dividere ciò che nella comunità
a livello di vita quotidiana è spesso unito. Grazie.