I semi che il Sinodo per il Medio Oriente in corso può far germogliare, ma anche le
nuove sfide che la Chiesa deve affrontare in Iraq, Iran e Terra Santa, dove i giovani
possono avere un ruolo attivo nella costruzione della pace. Di tutto questo si è parlato
nell’incontro organizzato dagli scout della Compagnia di San Giorgio, Agesci Lazio
e Scout d’Europa, con alcuni Padri sinodali nella parrocchia romana di San Pio V.
I dettagli nel servizio di Roberta Barbi:
“I giovani
devono portare i loro sogni e il loro entusiasmo, le loro provocazioni. Un respiro
di libertà in un mondo a volte troppo ingessato. I giovani devono ‘rompere’, in tutti
i sensi, con il passato e costruire, insieme, la pace”. Così il custode di Terra Santa,
padre Pierbattista Pizzaballa, racconta quali sono i suoi auspici per il difficile
territorio in cui opera, che è un mosaico di tradizioni e culture molto diverse. Qui
i cattolici, una minoranza dentro una minoranza, pari all’1 per cento della popolazione
totale, possono fare da ponte tra israeliani e palestinesi. I giovani sono una speranza
per il futuro, soprattutto se educati a essere “buoni cristiani e buoni cittadini”,
come gli scout cattolici, ricorda mons. Cyril Vasil, segretario della Congregazione
per le le Chiese Orientali. Diversa è la condizione della Chiesa in Iraq e in Iran,
dove il cristianesimo è ben radicato e precede l’Islam, come raccontano due testimoni
d’eccezione: Georges Casmoussa, vescovo di Mosul, e Ramzi Garmou, arcivescovo di Teheran.
Dall’Iraq, dall’inizio della guerra, nel 2003, sono scappati circa 40mila cristiani,
molte chiese sono state bombardate e alcuni sacerdoti rapiti e uccisi. “Viviamo un
Calvario – ha detto il presule – ma se la nostra fede è forte, non possiamo sentirci
senza speranza e aspettiamo la Resurrezione del nostro Paese e del nostro popolo”.
Non molto diversa la situazione in Iran, dove su 73 milioni di abitanti i cristiani
non superano i centomila: “La Chiesa iraniana è un piccolo gregge – ha detto mons.
Garmou – ma Gesù ci dice che non dobbiamo avere paura; anche un piccolo gregge può
fare grandi cose!”. A scandire il ritmo degli interventi, alcuni canti di pace eseguiti
dai seminaristi del Collegio Urbano. Tra loro ci sono caldei, copti, maroniti e siro-antiocheni,
ma cantano insieme in aramaico, la lingua di Gesù, un linguaggio di pace e unità che
è proprio della Chiesa universale.