Francia paralizzata dalle agitazioni. L'austerity arriva in Spagna, Regno Unito e
Portogallo
Non accenna a calmarsi la protesta sociale in Francia contro la riforma delle pensioni
che innalza l’età pensionabile da 60 a 62 anni. Il testo stasera potrebbe essere adottato
in Senato, mentre in tutta Europa i governi si apprestano a varare nuove misure antideficit.
Il servizio è di Marco Guerra:
Un Paese
paralizzato: dai trasporti alla scuola, passando per le pompe di benzina. Per il sesto
giorno consecutivo migliaia di manifestanti sono scesi in piazza contro la riforma
del settore pensionistico. Stasera il testo potrebbe essere approvato al Senato, ma
i sindacati oggi pomeriggio decideranno probabilmente di proseguire la mobilitazione
anche la prossima settimana, perché la legge dovrà essere poi convalidata dalla commissione
paritaria Assemblea-Senato. Intanto, le 12 raffinerie del Paese continuano ad essere
paralizzate, così come decine di depositi di carburante. Anche oggi 5.000 pompe di
benzina sono chiuse al pubblico su un totale di 12.300. A Marsiglia per cinque ore
è stato bloccato l'aeroporto, e continua lo sciopero della nettezza urbana, così come
a Tolosa. Sulle strade, i camion hanno imposto stamattina almeno 12 posti di blocco
provocando maxi ingorghi un po' ovunque. Il governo, dal canto suo, si mostra fermo:
il presidente Sarkozy ha definito “scandalose” le violenze registrate a Lione, dove
in due giorni sono state fermate circa 120 persone, ed ha garantito che “i violenti
non avranno l'ultima parola”. L’inquilino dell’Eliseo sa di avere l’appoggio di tutti
i governi europei che in queste settimane si apprestano a varare durissime misure
anti deficit. Ieri il premier Brown ha presentato le ricette salva bilancio fra cui
l’innalzamento dell’età pensionabile a 66 anni. Sempre ieri il primo via libera alla
finanziaria anti-crisi spagnola che prevede tagli dell’8% al bilancio. Rinviato invece
il voto sulla manovra portoghese per consentire al governo socialista di trovare un
accordo con l’opposizione sull’aumento delle tasse.
Dunque sono diversi
i governi, che, nel tentativo di fronteggiare la crisi, incontrano il malcontento
popolare. Sulle conseguenze sociali di questo momento a livello europeo Eugenio
Bonanata ha intervistato Domenico De Masi, docente di Sociologia del Lavoro
presso L’università La Sapienza di Roma:
R. - Intanto,
per capire le conseguenze, bisogna forse risalire alle cause. Noi abbiamo alcuni fattori
che stanno modificando completamente il sistema socio-economico mondiale: da una parte
il progresso scientifico-tecnologico e dall’altra la globalizzazione, la diffusione
dei mezzi di comunicazioni di massa, la scolarizzazione diffusa. Sono tutti elementi,
questi, che ci stanno facendo passare da una società ad assetto industriale ad una
società in assetto post-industriale. Una società cioè in cui prevale la produzione
di beni immateriali: servizi, informazioni, simboli, valori ed estetica. In questa
situazione ci sono praticamente Paesi che stanno conservando il monopolio della produzione
di idee e stanno spostando nei Paesi emergenti le loro fabbriche, perché vendono poco
ed inquinano molto, e conviene farle lì anche perché c’è manodopera a basso costo.
Questo comporta praticamente che vi sia un rimescolamento delle forze economiche mondiali.
Il vecchio mondo - cominciando dall’Europa, ma ormai anche l’America - sta cedendo
aliquote di ricchezza ai Paesi del terzo mondo e questo comporta ovviamente che il
primo mondo si debba adattare a sistemi e a tenori di vita completamente diversi.
D. – Professore si può parlare in Europa di uno scollamento tra la
politica e la società?
R. - Sono entrambe disorientate, perché entrambe
non sanno uscire dal vicolo cieco in cui si sono cacciate con il declino dell’industria
e l’emergere del post industriale. D’altra parte abbiamo pregato per venti secoli
Iddio perché risolvesse il problema della miseria dei Paesi poveri ed ora ci sta ascoltando
e, quindi, bisogna abituarsi a ripartire le ricchezze mondiali, che sono ricchezze
abbastanza limitate, finite e non più divise tra pochi ricchi e moltissimi poveri,
ma tra un certo numero crescente di ricchi.
D. - Secondo lei, ci si
può aspettare una recrudescenza delle manifestazioni di protesta…
R.
- Non c’è dubbio che bisogna aspettarsi questo.
D. - Cosa consigliare
alle imprese europee in questo momento?
R. - Di ridurre gli orari di
lavoro in modo da consentire a tutti un poco di lavoro in più, cominciando naturalmente
dai manager che stanno dieci ore al giorno in ufficio togliendo il lavoro ai loro
figli.
D. - Professore, un’ultima considerazione relativa ai consumatori:
cosa consigliare a loro in questa fase?
R. - Di consumare soprattutto
“sapere” in modo da arricchire il proprio bagaglio culturale. Questo consente di vivere
meglio anche con meno soldi, perché il problema non è quello di accumulare più cose,
ma di dare più senso alle cose che già abbiamo.