2010-10-20 16:17:42

In Giappone gli hospice cattolici sono le uniche strutture per i malati terminali


Curare il corpo e lo spirito: è questo il delicato, ma fondamentale compito cui fanno fronte gli hospice cattolici presenti in Giappone, impegnati nella pastorale per i malati terminali. “Cerchiamo di aiutare il paziente a mantenere la propria normalità – è la testimonianza rilasciata ad AsiaNews da padre Nobuyoshi Matsumoto, alla guida del Garashi Hospital – li accompagniamo a casa, al cinema, a mangiare fuori e persino nelle case del tè. Li spingiamo a continuare a curare i loro animali domestici e a compiere le attività che fanno parte del quotidiano”. Eppure posti come il Garashi, nel Paese del Sol Levante, sono pochissimi: solo 195 unità palliative per un totale di 3839 posti letto, in un Giappone dove i due terzi dei decessi sono imputabili al cancro. Lo stesso Garashi, che ha appena celebrato i cinque anni di vita, è stato il primo di due nell’arcidiocesi di Osaka. Il motivo per cui sono così pochi? “Non certo perché siano inutili, ma perché è ancora forte una certa cultura della morte che va sradicata – prosegue padre Matsumoto – qui accogliamo con calore e con un abbraccio il malato terminale. In un certo senso l’hospice è un albergo con dottori, infermiere, farmacisti, nutrizionisti e fisioterapisti: un posto dove trascorrere gli ultimi giorni con la migliore situazione sanitaria possibile e nella pace della propria famiglia”. E grande attenzione è riservata anche a chi subisce una grave perdita e ha bisogno di elaborare il lutto: una volta al mese, infatti, si svolge lo Yurinokai, la riunione per i familiari che restano. (R.B.)







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