Conferenza a Roma sulla sicurezza e la transizione in Afghanistan
Il processo di stabilizzazione necessario per garantire democrazia e sviluppo alla
popolazione afghana; la strategia della “transizione” sulla strada del vertice dei
capi di Stato e di governo in programma il 18 novembre a Lisbona; una riflessione
sul processo per riconsegnare agli afghani il controllo del loro territorio. Sono
solo alcuni dei temi della Conferenza degli inviati speciali per Afghanistan e Pakistan,
convocata oggi a Villa Madama, a Roma. Presenti 46 alti rappresentanti di tutti i
Paesi e le organizzazioni internazionali impegnate in Afghanistan. Tra i partecipanti,
anche il comandante della missione Isaf, il generale Petraeus, e l'inviato del presidente
statunitense Obama, Richard Holbrooke. Quest'ultimo ha dichiarato stamane che la parola
chiave è riconciliazione per poi sottolineare che ''c'è spazio per chiunque voglia
essere riconciliato'', ma è chiaro che ci devono essere "paletti'' ben definiti.
Sull’attuale momento in Afghanistan, Giada Aquilino ha intervistato Marco
Lombardi, responsabile dei progetti di cooperazione per il Paese asiatico dell’università
Cattolica di Milano:
R. - Credo
che sia una fase centrale e questo lo si vede, purtroppo, dagli attentati. Accanto
ad un certo rafforzamento di attività belliche che cercano di mantenere sotto controllo
aree a rischio, si sta anche insistendo molto sulla necessità di affrancare in maniera
autonoma sia il governo, sia le istituzioni afghane in vista di una concreta uscita
dal Paese. Anche ieri Holbrooke parlava del luglio 2011 non come una data di ritiro,
ma una data intorno alla quale cominciare a pensare una diminuzione della pressione
nelle diverse aree.
D. - C’è un motivo per cui la violenza di fatto
è aumentata sul terreno?
R. - La violenza è aumentata in quelle aree
periferiche, dove gli afghani hanno più bisogno di supporto per riuscire a mettere
in piedi un sistema di vita quotidiano, che non sia costantemente turbato dalle insistenze
dei talebani. Ricordiamo che i talebani reclutano forzatamente o comprano - perché
non c’è altra possibilità di sopravvivenza - molti degli afghani di queste aree periferiche.
D. - Ma proprio il negoziato con i talebani che opzione è?
R.
- Il negoziato con i talebani è fondamentale. Non sarebbe giusto e non sarebbe concreto
pensare di eradicare i talebani: sono una componente problematica, ma presente in
Afghanistan come cultura e modo di vedere il mondo e, quindi, è fondamentale dialogare
con loro.
D. - Sul terreno, cosa manca?
R. - Nel complesso,
la situazione negli ultimi anni è migliorata in maniera significativa in Afghanistan.
Questo non vuol dire che si sono raggiunti magari grandi risultati, ma direi che ci
sono stati grandi cambiamenti. Quello che manca a livello governativo e sicuramente
quello su cui bisogna insistere è una dimensione di chiarezza, di disponibilità e
di etica di governo. In termini operativi, poi, ogni provincia, ogni regione merita
una riflessione a sé. Servono infrastrutture, ma servono soprattutto coloro i quali
lavorino nelle infrastrutture, perché le infrastrutture restano e gli uomini se ne
vanno: se non ci sono degli afghani che governeranno quelle infrastrutture, quelle
infrastrutture crolleranno e tutto verrà buttato via. Quindi priorità assoluta all’educazione,
come sta facendo l’Università Cattolica. Ci sono tante possibilità di intervento con
l’università di Kabul e l’università di Herat in particolare, ma ci sono 18 atenei.
E’ poi necessario investire sulle donne, perché le donne sono promotrici di cambiamento
ovunque.