2010-10-18 15:16:19

Conferenza a Roma sulla sicurezza e la transizione in Afghanistan


Il processo di stabilizzazione necessario per garantire democrazia e sviluppo alla popolazione afghana; la strategia della “transizione” sulla strada del vertice dei capi di Stato e di governo in programma il 18 novembre a Lisbona; una riflessione sul processo per riconsegnare agli afghani il controllo del loro territorio. Sono solo alcuni dei temi della Conferenza degli inviati speciali per Afghanistan e Pakistan, convocata oggi a Villa Madama, a Roma. Presenti 46 alti rappresentanti di tutti i Paesi e le organizzazioni internazionali impegnate in Afghanistan. Tra i partecipanti, anche il comandante della missione Isaf, il generale Petraeus, e l'inviato del presidente statunitense Obama, Richard Holbrooke. Quest'ultimo ha dichiarato stamane che la parola chiave è riconciliazione per poi sottolineare che ''c'è spazio per chiunque voglia essere riconciliato'', ma è chiaro che ci devono essere "paletti'' ben definiti. Sull’attuale momento in Afghanistan, Giada Aquilino ha intervistato Marco Lombardi, responsabile dei progetti di cooperazione per il Paese asiatico dell’università Cattolica di Milano:RealAudioMP3

R. - Credo che sia una fase centrale e questo lo si vede, purtroppo, dagli attentati. Accanto ad un certo rafforzamento di attività belliche che cercano di mantenere sotto controllo aree a rischio, si sta anche insistendo molto sulla necessità di affrancare in maniera autonoma sia il governo, sia le istituzioni afghane in vista di una concreta uscita dal Paese. Anche ieri Holbrooke parlava del luglio 2011 non come una data di ritiro, ma una data intorno alla quale cominciare a pensare una diminuzione della pressione nelle diverse aree.

D. - C’è un motivo per cui la violenza di fatto è aumentata sul terreno?

R. - La violenza è aumentata in quelle aree periferiche, dove gli afghani hanno più bisogno di supporto per riuscire a mettere in piedi un sistema di vita quotidiano, che non sia costantemente turbato dalle insistenze dei talebani. Ricordiamo che i talebani reclutano forzatamente o comprano - perché non c’è altra possibilità di sopravvivenza - molti degli afghani di queste aree periferiche.

D. - Ma proprio il negoziato con i talebani che opzione è?

R. - Il negoziato con i talebani è fondamentale. Non sarebbe giusto e non sarebbe concreto pensare di eradicare i talebani: sono una componente problematica, ma presente in Afghanistan come cultura e modo di vedere il mondo e, quindi, è fondamentale dialogare con loro.

D. - Sul terreno, cosa manca?

R. - Nel complesso, la situazione negli ultimi anni è migliorata in maniera significativa in Afghanistan. Questo non vuol dire che si sono raggiunti magari grandi risultati, ma direi che ci sono stati grandi cambiamenti. Quello che manca a livello governativo e sicuramente quello su cui bisogna insistere è una dimensione di chiarezza, di disponibilità e di etica di governo. In termini operativi, poi, ogni provincia, ogni regione merita una riflessione a sé. Servono infrastrutture, ma servono soprattutto coloro i quali lavorino nelle infrastrutture, perché le infrastrutture restano e gli uomini se ne vanno: se non ci sono degli afghani che governeranno quelle infrastrutture, quelle infrastrutture crolleranno e tutto verrà buttato via. Quindi priorità assoluta all’educazione, come sta facendo l’Università Cattolica. Ci sono tante possibilità di intervento con l’università di Kabul e l’università di Herat in particolare, ma ci sono 18 atenei. E’ poi necessario investire sulle donne, perché le donne sono promotrici di cambiamento ovunque.







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