2010-10-17 12:44:52

Intervento di Mons. Krikor-Okosdinos COUSSA, Vescovo di Alessandria degli Armeni (EGITTO)


Preghiera
“Ci vantiamo nella speranza della gloria di Dio. E non soltanto questo: noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5, 2-5).
Santo Padre,
Beatitudini e Eminenze,
Fratelli nel sacerdozio, religiosi, religiose e laici,
Nel mio intervento faccio riferimento ai numeri dal 120 al 123, che parlano di speranza.
Siate “lieti nella speranza (la vostra speranza), pazienti nella tribolazione, assidui nella preghiera” (cfr. Rm 12,12).
Nella gioia della speranza, la pazienza nella tribolazione e l’assiduità nella preghiera condividiamo le esperienze e la riflessione sul nostro impegno in seno alle nostre Chiese a livello patrimoniale, culturale, storico, teologico, liturgico e spirituale, in un modo distinto, un impegno che deriva dalle nostre tradizioni liturgiche, poiché siamo invitati a fare di questa varietà un mezzo per arricchire le nostre diverse società e per rafforzare l’unità della Chiesa e testimoniare la fede, la speranza e la salvezza.
In questa regione del mondo ha camminato Abramo, nostro padre nella fede, e con lui tutta la sua discendenza. È in Abramo che ogni cristiano è chiamato a rispondere all’invito di Dio ad abbandonarsi a Lui per ottenere la vita autentica.
Su questa terra Dio ha realizzato il disegno del suo amore, ha inviato il suo Figlio unigenito, Gesù Nazareno, per salvare il mondo e riunire gli uomini dispersi.

In Cristo si sono compiute tutte le promesse divine, avendo vinto la morte e confermato in noi la speranza.
È dunque dall’Oriente che si sono levate le luci del Vangelo.
Dall’Oriente si è levata la rinascita dell’evangelizzazione e della missione.
È per questa missione che abbiamo imparato a costruire le nostre chiese e i nostri conventi, le nostre case, le nostre scuole e le nostre istituzioni sugli uomini, sul sole e sul vento.
Non viviamo in grotte o in sotterranei isolati, di modo che ogni persona, quali che siano la sua religione o la sua cultura, veda chiaramente ciò che facciamo. Le nostre finestre sono grandi e fatte di vetro trasparente e “la luce splende nelle tenebre” (Gv 1, 5).
La nostra testimonianza e la nostra comunione si compiono attraverso questo compito in terra, dove la Provvidenza divina ha voluto che vivessimo e che realizzassimo la nostra vocazione, la nostra fede e la nostra missione.
Questa regione è soggetta ai pericoli più forti e più grandi. Oscilla quindi tra la guerra e la pace e anche in essa stessa si può cercare una nuova forma di relazioni internazionali, più rispettosa dei diritti dell’uomo, dei popoli e della loro libertà.
La convivenza vince su tutte le divergenze per incontrarsi gli uni con gli altri, con i musulmani e perfino con gli ebrei.
Talvolta ci sentiamo minacciati dalla paura, dalla disperazione e dalla persecuzione e dimentichiamo che la nostra presenza cristiana è legata alla dimensione della nostra fede e alla profondità della stessa. La sfida fondamentale per noi è quella di realizzarci nella vita come testimoni del Redemptoris hominis, attraverso le nostre parole e le nostre opere dinanzi ai nostri fratelli non cristiani.
Così ci domandiamo: che senso ha questo Oriente se noi ne siamo assenti? Il mio intervento è un messaggio di speranza rivolto ai cristiani affinché vedano nell’Oriente la fonte della speranza di Cristo che vi è nato, vi è stato crocifisso e vi è risorto.
L’arma del cristianesimo non viene costruita nelle fabbriche e non nasce dalla terra per assumere una forma, una dimensione o un colore qualunque.
L’arma del cristianesimo è la carità. Consiste nel costruire ponti tra l’uomo e il suo fratello uomo affinché non vi siano né vicino né lontano. E se l’uomo riesce a scoprire quest’arma, scopre se stesso e conosce la sua posizione. E quando conosce, ama; e quando ama, dona; e quando dona, si rassicura; e quando si rassicura, si stabilizza, è esente da ogni vizio e da ogni difetto.
La nostra speranza è quella di vivere in pace. Tendiamo quindi la mano ai musulmani e agli ebrei con speranza cristiana e con una vita nuova. Diciamo agli ebrei: cessate di uccidere gli innocenti e non dimenticate quello che dice il Talmud: in ogni uomo vedo Dio.
Tendiamo la mano ai nostri fratelli musulmani nella speranza di una coabitazione che permetta di costruire una sola nazione, una sola società guidata dalla carità, dalla fratellanza, dalla comprensione e dal dialogo.
La Chiesa annuncia la carità e combatte l’iniquità e il fanatismo. Diffonde l’educazione e non lavora per se stessa, ma piuttosto per la Gloria di Dio, il Supremo, e conferma la speranza.
Auspichiamo di poter arrivare a realizzare, grazie a questo sinodo, il desiderio di non arrestare il lavoro a favore della speranza cercata, e questo malgrado le prove e le difficoltà che ci circondano, perché la testimonianza e la comunione maturano solo nelle calamità e nelle vicissitudini il cui frutto è la carità.

[00167-01.05] [IN107] [Testo originale: arabo]







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