Intervento di Mons. Krikor-Okosdinos COUSSA, Vescovo di Alessandria degli Armeni (EGITTO)
Preghiera “Ci vantiamo nella speranza della gloria di Dio. E non soltanto questo:
noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce
pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza
poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo
dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5, 2-5). Santo Padre, Beatitudini
e Eminenze, Fratelli nel sacerdozio, religiosi, religiose e laici, Nel mio intervento
faccio riferimento ai numeri dal 120 al 123, che parlano di speranza. Siate “lieti
nella speranza (la vostra speranza), pazienti nella tribolazione, assidui nella preghiera”
(cfr. Rm 12,12). Nella gioia della speranza, la pazienza nella tribolazione e l’assiduità
nella preghiera condividiamo le esperienze e la riflessione sul nostro impegno in
seno alle nostre Chiese a livello patrimoniale, culturale, storico, teologico, liturgico
e spirituale, in un modo distinto, un impegno che deriva dalle nostre tradizioni liturgiche,
poiché siamo invitati a fare di questa varietà un mezzo per arricchire le nostre diverse
società e per rafforzare l’unità della Chiesa e testimoniare la fede, la speranza
e la salvezza. In questa regione del mondo ha camminato Abramo, nostro padre nella
fede, e con lui tutta la sua discendenza. È in Abramo che ogni cristiano è chiamato
a rispondere all’invito di Dio ad abbandonarsi a Lui per ottenere la vita autentica. Su
questa terra Dio ha realizzato il disegno del suo amore, ha inviato il suo Figlio
unigenito, Gesù Nazareno, per salvare il mondo e riunire gli uomini dispersi.
In Cristo si sono compiute tutte le promesse divine, avendo vinto la morte e confermato
in noi la speranza. È dunque dall’Oriente che si sono levate le luci del Vangelo. Dall’Oriente
si è levata la rinascita dell’evangelizzazione e della missione. È per questa missione
che abbiamo imparato a costruire le nostre chiese e i nostri conventi, le nostre case,
le nostre scuole e le nostre istituzioni sugli uomini, sul sole e sul vento. Non
viviamo in grotte o in sotterranei isolati, di modo che ogni persona, quali che siano
la sua religione o la sua cultura, veda chiaramente ciò che facciamo. Le nostre finestre
sono grandi e fatte di vetro trasparente e “la luce splende nelle tenebre” (Gv 1,
5). La nostra testimonianza e la nostra comunione si compiono attraverso questo
compito in terra, dove la Provvidenza divina ha voluto che vivessimo e che realizzassimo
la nostra vocazione, la nostra fede e la nostra missione. Questa regione è soggetta
ai pericoli più forti e più grandi. Oscilla quindi tra la guerra e la pace e anche
in essa stessa si può cercare una nuova forma di relazioni internazionali, più rispettosa
dei diritti dell’uomo, dei popoli e della loro libertà. La convivenza vince su
tutte le divergenze per incontrarsi gli uni con gli altri, con i musulmani e perfino
con gli ebrei. Talvolta ci sentiamo minacciati dalla paura, dalla disperazione
e dalla persecuzione e dimentichiamo che la nostra presenza cristiana è legata alla
dimensione della nostra fede e alla profondità della stessa. La sfida fondamentale
per noi è quella di realizzarci nella vita come testimoni del Redemptoris hominis,
attraverso le nostre parole e le nostre opere dinanzi ai nostri fratelli non cristiani. Così
ci domandiamo: che senso ha questo Oriente se noi ne siamo assenti? Il mio intervento
è un messaggio di speranza rivolto ai cristiani affinché vedano nell’Oriente la fonte
della speranza di Cristo che vi è nato, vi è stato crocifisso e vi è risorto. L’arma
del cristianesimo non viene costruita nelle fabbriche e non nasce dalla terra per
assumere una forma, una dimensione o un colore qualunque. L’arma del cristianesimo
è la carità. Consiste nel costruire ponti tra l’uomo e il suo fratello uomo affinché
non vi siano né vicino né lontano. E se l’uomo riesce a scoprire quest’arma, scopre
se stesso e conosce la sua posizione. E quando conosce, ama; e quando ama, dona; e
quando dona, si rassicura; e quando si rassicura, si stabilizza, è esente da ogni
vizio e da ogni difetto. La nostra speranza è quella di vivere in pace. Tendiamo
quindi la mano ai musulmani e agli ebrei con speranza cristiana e con una vita nuova.
Diciamo agli ebrei: cessate di uccidere gli innocenti e non dimenticate quello che
dice il Talmud: in ogni uomo vedo Dio. Tendiamo la mano ai nostri fratelli musulmani
nella speranza di una coabitazione che permetta di costruire una sola nazione, una
sola società guidata dalla carità, dalla fratellanza, dalla comprensione e dal dialogo. La
Chiesa annuncia la carità e combatte l’iniquità e il fanatismo. Diffonde l’educazione
e non lavora per se stessa, ma piuttosto per la Gloria di Dio, il Supremo, e conferma
la speranza. Auspichiamo di poter arrivare a realizzare, grazie a questo sinodo,
il desiderio di non arrestare il lavoro a favore della speranza cercata, e questo
malgrado le prove e le difficoltà che ci circondano, perché la testimonianza e la
comunione maturano solo nelle calamità e nelle vicissitudini il cui frutto è la carità.