INTERVENTO DELL’INVITATO SPECIALE AL SINODO, SIG. MUHAMMAD AL-SAMMAK, CONSIGLIERE
POLITICO DEL MUFTI DEL LIBANO
Alle ore 18.30 il Presidente Delegato, S. B. Ignace Youssif III YOUNAN, ha dato la
parola all’Invitato Speciale, Sig. Muhammad AL-SAMMAK, Consigliere politico del Mufti
della Repubblica (LIBANO) e successivamente all’Invitato Speciale, Ayatollah Seyed
Mostafa MOHAGHEGH AHMADABADI, Professore della Facoltà di Diritto dell’Università
“Shahid Beheshti” di Teheran; Membro dell’Accademia iraniana delle scienze (IRAN). Riportiamo
di seguito l'intervento integrale del Sig. AL-SAMMAK:
Quando sono stato invitato
al Sinodo Speciale per il Medio Oriente, mi sono posto due domande. La prima è: perché
questo Sinodo è dedicato ai cristiani d’Oriente? E la seconda: perché invitare un
musulmano al Sinodo, che ruolo posso svolgervi ora e nel futuro? Per quanto riguarda
la prima domanda, cercare di rispondere solleva numerosi interrogativi. Innanzitutto,
se la situazione dei cristiani d’Oriente fosse stata positiva, ci sarebbe stato bisogno
di convocare questo Sinodo? E poi, questo Sinodo può garantire la loro serenità e
confermare il loro radicamento nella terra dei loro padri e dei loro avi, questa terra
da cui è scaturita la fede cristiana per abbracciare il mondo intero? Personalmente,
in quanto musulmano, ritengo importante l’attenzione che il Vaticano riserva ai problemi
dei cristiani in generale e dei cristiani d’Oriente in particolare, questo Oriente
fonte e culla del cristianesimo. Allo stesso tempo, spero che l’iniziativa del re
dell’Arabia Saudita, Abdallah Ben Abdel Aziz a favore del dialogo interreligioso e
interculturale possa richiamare l’attenzione del mondo arabo e islamico verso questa
causa, in tutte le sue dimensioni, nazionali, religiose e umane, affinché queste due
iniziative, quella del Vaticano e quella dell’Arabia Saudita, possano completarsi
a vicenda, in vista della risoluzione dei problemi dei cristiani d’Oriente, consapevoli
del fatto che si tratta di un’unica questione islamo-cristiana. Per quanto riguarda
la seconda domanda, non credo di essere stato invitato al Sinodo per essere edotto
sulle difficoltà dei cristiani in alcuni stati dell’Oriente. La nostra sofferenza
in quanto orientali è una sola. Noi condividiamo le nostre sofferenze. Le viviamo
nel nostro ritardo sociale e politico, nella nostra recessione economica e dello sviluppo,
nella nostra tensione religiosa e confessionale. Tuttavia, prendere il cristiano come
bersaglio a causa della sua religione, anche se si tratta di un fenomeno nuovo e contingente
per le nostre società, può essere molto pericoloso, soprattutto se c’è reciprocità.
Si tratta di un fenomeno estraneo all’Oriente, di un fenomeno in contraddizione con
le nostre culture religiose e le nostre costituzioni nazionali, poiché questo fa emergere
due fatti gravissimi: innanzitutto, un tentativo di lacerare il tessuto delle nostre
società nazionali, di demolirle e di sciogliere i legami del loro complesso tessuto
costruito da molti secoli, in secondo luogo un tentativo di mostrare l’Islam sotto
una luce diversa rispetto a quella reale, in contrapposizione con ciò che esso professa
e in contraddizione con ciò su cui esso si basa essenzialmente, cioè la concezione
delle differenze tra i popoli come uno dei segni di Dio nella creazione e come espressione
viva della volontà di Dio, nonché l’accettazione della regola del pluralismo e del
rispetto della diversità e della fede in tutti i messaggi divini e in ciò che Dio
vi ha rivelato. Il Sacro Corano dice: “Non sono tutti uguali. Tra la gente della Scrittura
c'è una comunità che recita i segni di Allah durante la notte e si prosterna. Credono
in Allah e nell'Ultimo Giorno, raccomandano le buone consuetudini e proibiscono ciò
che è riprovevole e gareggiano in opere di bene. Questi sono i devoti” (3, 113, 114). Due
aspetti negativi sono la causa del problema dei cristiani d’Oriente: il primo riguarda
la mancanza di rispetto dei diritti dei cittadini nella piena uguaglianza di fronte
alla legge in alcuni paesi. Il secondo riguarda l’incomprensione dello spirito degli
insegnamenti islamici specifici relativi ai rapporti con i cristiani che il Sacro
Corano ha definito “i più predisposti a amare i credenti” e ha giustificato questo
amore affermando “che ci sono tra di loro sacerdoti e monaci e che essi non si riempiono
d’orgoglio”. Questi due aspetti negativi, in tutto ciò che comportano come contenuti
intellettuali e politici negativi, e in tutto ciò che implicano come atteggiamenti
relativi agli accordi e alla loro applicazione e che provocano come azioni preoccupanti
e nocive, fanno del male a tutti - cristiani e musulmani - e ci offendono tutti nella
nostra vita e nel nostro destino comuni. Per questo, siamo chiamati, in quanto cristiani
e musulmani, a lavorare insieme per trasformare questi due aspetti negativi in aspetti
positivi: in primo luogo, attraverso il rispetto dei fondamenti e delle regole della
cittadinanza che opera l’uguaglianza prima nei diritti e poi nei doveri. In secondo
luogo, ostacolando la cultura dell’esagerazione e dell’estremismo nel suo rifiuto
dell’altro e nel suo desiderio di avere il monopolio esclusivo della verità, e rafforzando
e diffondendo la cultura della moderazione, dell’amore e del perdono, in quanto rispetto
della differenza di religione e di fede, di lingua, di cultura, di colore e di razza
e poi, come ci insegna il Sacro Corano ci rimettiamo al giudizio di Dio riguardo alle
nostre differenze. Sì, i cristiani d’Oriente sono messi alla prova, ma non sono soli. Sì,
i cristiani d’Oriente hanno effettivamente bisogno di aiuto e di appoggio, ma ciò
non deve avvenire favorendone l’emigrazione o il ripiegamento su se stessi e neppure
attraverso il venir meno da parte dei loro compagni musulmani, ai propri doveri nazionali
e morali nei loro confronti. Facilitare l’emigrazione significa costringerli a emigrare.
Ripiegarsi su se stessi significa soffocare lentamente. Rinunciare al dovere di difendere
il diritto dell’altro a una vita libera e dignitosa significa ridurre l’umanità dell’altro
e abbandonare i pilastri della fede. La presenza cristiana in oriente, che opera
e agisce con i musulmani, è una necessità sia cristiana che islamica. È una necessità
non solo per l’Oriente, ma anche per il mondo intero. Il pericolo di un calo di questa
presenza a livello quantitativo e qualitativo è una preoccupazione sia cristiana che
islamica, non solo per i musulmani d’Oriente, ma anche per tutti i musulmani del mondo.
Non solo, io posso vivere il mio Islam con qualunque altro musulmano di ogni stato
e etnia, ma in quanto arabo orientale, non posso vivere la mia essenza di arabo senza
il cristiano arabo orientale. L’emigrazione del cristiano è un impoverimento dell’identità
araba, della sua cultura e della sua autenticità. È per questo che sottolineo ancora
una volta qui, dalla tribuna del Vaticano, ciò che ho già detto alla venerabile Mecca,
ossia che sono preoccupato per il futuro dei musulmani d’Oriente a causa dell’emigrazione
dei cristiani d’Oriente. Conservare la presenza cristiana è un comune dovere islamico
nonché un comune dovere cristiano. I cristiani d’oriente non sono una minoranza
casuale. Essi sono all’origine della presenza dell’Oriente prima dell’Islam. Sono
parte integrante della formazione culturale, letteraria e scientifica della civiltà
islamica. Sono anche i pionieri della rinascita araba moderna e hanno salvaguardato
la loro lingua, quella del Sacro Corano. Come sono stati in prima linea nella liberazione
e nella ripresa della sovranità, oggi sono in prima linea anche nell’affrontare e
nel resistere all’occupazione, nel difendere il diritto nazionale violato, a Gerusalemme
in particolare e nella Palestina occupata in generale. Ogni tentativo di affrontare
la loro causa senza considerare questi dati autentici e radicati nella coscienza delle
nostre società nazionali, porta a conclusioni errate, fonda giudizi errati e conduce
quindi a soluzioni errate. È quindi importantissimo che questo Sinodo non sia solo
un grido di sofferenza cristiana che risuona in questa valle di dolore qual è il nostro
Oriente sofferente. La speranza si basa sulle fondamenta pratiche e scientifiche che
il Sinodo getta a favore di un’iniziativa di cooperazione islamo-cristiana comune
che possa proteggere i cristiani e tutelare i rapporti islamo-cristiani, affinché
l’Oriente, luogo di rivelazione divina, sia ancora degno di innalzare lo stendardo
della fede, della carità e della pace per se stesso e per il mondo intero.