Casi di violenza in Italia: una società di persone sempre più chiuse in se stesse
E’ necessario sostenere le famiglie e intervenire a livello locale per ripristinare
le relazioni tra le persone oggi sempre più sole, più chiuse in se stesse. Sono le
linee da percorrere secondo il prof. Luca Salmieri, docente di Sociologia della
cultura all’Università la Sapienza, commentando gli ultimi episodi di violenza nelle
città italiane di Milano e Roma. Lo ricordiamo: nel capoluogo lombardo un tassista
è stato aggredito per aver investito un cane; nella capitale un’infermiera romena
è in fin di vita per un pugno ricevuto dopo una lite. Ma questi episodi sono il segno
di una società che sta diventando più violenta? Massimiliano Menichetti lo
ha chiesto allo stesso prof. Salmieri:
R. - I dati
statistici non possono darci un resoconto esauriente di quello che realmente è accaduto
in ogni periodo e questo perché non tutti denunciano. Detto questo, quello che rappresenta
senz’altro un dato di questo periodo è la capacità dei media, e soprattutto dei sistemi
di controllo che spesso sono piazzati in diversi luoghi, di portare alla luce in maniera
molto più diffusa - di quanto avvenisse 10 o 20 anni fa - episodi di efferata violenza.
D.
- Ma questa grande diffusione informazioni, il fatto che tutti possano vedere su Internet
o leggere sui giornali genera emulazione?
R. - Non facilita un meccanismo
d’imitazione, come si pensava negli anni Sessanta e Settanta, quando si sosteneva
cioè che l’esposizione a scene di violenza fosse un moltiplicatore della violenza
stessa, ma provoca una paura, provoca una sfiducia. Questo porta anche a stare sulla
difensiva con gli sconosciuti, che in alcuni casi può sfociare ulteriormente in violenza.
D.
- Una donna colpita al volto in metropolitana ed un tassista malmenato perché ha investito
un cane: oltre alla condanna, come si possono leggere questi due eventi?
R.
– Prima di tutto bisogna chiarire che non è possibile catalogare questo tipo di eventi
né in senso generale né particolare. Ma se volessimo dare una lettura potremmo partire
dal fatto che oggi si registra la concezione di una questione privata, di una questione
che riguarda il singolo, le sue proprietà o quelle che ritiene essere le sue proprietà,
quelli che ritiene essere i suoi diritti. La cosa che colpisce in entrambi i casi
è proprio una visione minuta: il fatto cioè che esista un microcosmo, nel quale si
è padroni di gestire secondo i propri principi.
D. - A questo orizzonte
ristretto contribuisce una società sempre più veloce e sempre più individualista?
R.
- Io parlerei di dinamiche più veloci e di dinamiche sensazionalistiche. Certi eccessi
hanno a che fare proprio con la vita quotidiana delle persone, che è spesso solitaria
e spesso affollata sì, ma di pensieri e di costruzioni soggettive, interne alle persone,
e che evidentemente non hanno modo di portare alla costruzione di relazioni.
D.
- Che cosa produce questo?
R. - Semplicemente il fatto che rispetto
a 30 anni fa passiamo molto più tempo a comprare o a utilizzare prodotti del mondo
dei consumi che hanno anche una dimensione poco relazionale. In secondo luogo è fortemente
aumentata la mobilità delle persone sul territorio e la mobilità provoca distanziamento,
disarticolazione rispetto alle comunità. Il terzo punto ha a che fare con una disgregazione
che purtroppo riguarda anche le famiglie, nel senso che quello che da sempre rappresenta
il cemento di una comunità è oggi sottoposto a pressioni esterne - pressioni di carattere
sociale - e si ripiega, piuttosto che essere invece un luogo da cui si parte per creare
un tessuto.
D. - Su questo incidono anche le difficoltà finanziarie
e l’impossibilità di avere - ad esempio - più figli?
R. - Una cosa interessantissima
da un punto di vista pedagogico è il fatto che avere due figli allena già subito a
risolvere i conflitti in una maniera “positiva”, piuttosto che averne solo uno che,
soprattutto quando è piccolo, entra in conflitto con i genitori e non con un altro
soggetto forte e difendibile come lui, come può essere un fratello o una sorella.
D.
- Vista questa situazione, professore, qual è l’auspicio?
R. - Che la
politica - ed intendendo per politica soprattutto la gestione del locale - cerchi
di creare situazioni di vita - anche se con poche risorse, ma con molta inventiva
- appoggiandosi alle famiglie, alle parrocchie, alle associazioni laiche, a ciò che
esiste già su un territorio, ma che spesso è falcidiato dalla solitudine. Queste amministrazioni
dovrebbero stimolare la realizzazione di attività di qualsiasi tipo: culturali, musicali,
la riapertura di biblioteche. Qualsiasi cosa, quindi, che metta in comunicazione le
persone, perché in quel caso l’appartenenza diventa positiva, così come anche una
certa corresponsabilità nei confronti della comunità dovrebbe portare a risolvere
le questioni conflittuali in maniera civile e non barbara.