2010-10-13 13:02:02

Intervento di Mons. Vincent LANDEL, S.C.I. di Béth., Arcivescovo di Rabat (MAROCCO)


Partendo dall’esperienza del Marocco (25.000 cattolici di 90 nazionalità su una popolazione di 33 milioni di musulmani), i cristiani sono tutti degli stranieri e non possono essere cittadini del paese, anche se esiste la “libertà di culto”. Questo fa sì che essi partecipino alla vita economica, culturale e sociale del paese, ma che non possano assolutamente intervenire nei meccanismi delle decisioni politiche nazionali o internazionali.
La nostra responsabilità come Chiesa è quella di aiutare questi stranieri di passaggio a capire che essi sono in prima linea nel dialogo della vita con i musulmani. Nelle aziende in cui lavorano, nelle università o nelle scuole, essi sono individui in mezzo a una moltitudine mussulmana.
- Essi sono i testimoni di un Amore più grande;
- essi sono i testimoni di questo Dio che rivolge uno “sguardo amoroso” agli uomini qualunque sia la loro cultura o la loro religione.
La loro testimonianza di vita è fondamentale per la vita della Chiesa. Un amico musulmano mi diceva un giorno “la vostra presenza, benché minima, è fondamentale per farci capire che ci sono strade diverse che conducono a Dio”.
La nostra responsabilità come Chiesa è quella di aiutare questi cristiani ad accettare di entrare, con i loro amici musulmani, in un’ottica di accoglienza della differenza dell’altro, di incontro in spirito di totale gratuità, di umile atteggiamento di fiducia verso la diversità dell’altro. Ciò non è sempre facilmente accettabile nel mondo dell’efficienza, ma è questo atteggiamento che ci permette di continuare a vivere in questo paese in pace e serenità anche se talvolta emergono delle tensioni.
I cristiani constatano con gioia che a contatto con l’Islam la loro fede cristiana si purifica, si approfondisce.
La nostra responsabilità come Chiesa è quella di aiutare questi cristiani di passaggio a capire meglio che si può vivere la propria fede cristiana con gioia e passione, in una società totalmente musulmana. Questo li aiuterà a tornare nel proprio paese con uno sguardo nuovo nei confronti dei musulmani che incontreranno e ad abbattere degli “apriorismi” che rischiano di far marcire il mondo.
La nostra responsabilità come Chiesa è quella di aiutare questi cristiani a capire di essere dei “segni” e, come ci ha ricordato Papa Giovanni Paolo II in occasione di una visita ad limina, “non viene chiesto a un segno di fare numero ma di significare qualcosa”.
La nostra Chiesa è “segno” per la comunione che cerchiamo di vivere, nonostante la diversità delle nostre culture e delle nostre nazionalità. Benché i cristiani originari del Medio Oriente siano pochi, il nostro “segno” sarebbe ancora più forte se avessimo nel nostro presbiterio uno o due sacerdoti arabi. Una simile presenza, lungi da ogni proselitismo, sarebbe un grande arricchimento per la Chiesa.

[00045-01.05] [IN023] [Testo originale: francese]







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