2010-10-13 15:07:36

Intervento di Mons. Ramzi GARMOU, Presidente della Conferenza Episcopale Iraniana (IRAN)


L’“Instrumentum laboris” nella sua conclusione pone una domanda molto importante e al tempo stesso piuttosto inquietante: Quale avvenire per i cristiani del Medio Oriente?
Ritengo che questa domanda ci rivolga un appello urgente a una vera e profonda conversione del cuore verso una vita conforme al messaggio del Vangelo. È vero, il futuro della Chiesa nei nostri paesi e nel mondo intero è nelle mani di Dio, che veglia sui suoi figli come un Padre pieno di tenerezza e di misericordia. Ma è anche affidato alla nostra responsabilità di pastori, successori degli apostoli, che hanno ricevuto il mandato di pascere il gregge di Dio non per cupidigia ma per dedizione, divenendo modelli del gregge (cfr. 1Pt 5, 2-3).
Affinché questo Sinodo possa essere fonte di grazia e di rinnovamento per le nostre Chiese è indispensabile ascoltare ciò che lo Spirito Santo ci dice. È lui che può purificare il nostro cuore e liberarlo da tutto ciò che ci impedisce di essere testimoni autentici e fedeli del Risorto. In questo santo Sinodo ci viene chiesto di essere docili e attenti alla voce dello Spirito Santo, che ci ricorda che la missione della Chiesa locale è quella di essere al servizio del popolo al quale è mandata, che la sua missione principale è quella di annunciare la Buona Novella del Vangelo secondo la cultura di quel popolo. Felicemente il documento di lavoro ci mette in guardia contro il pericolo del confessionalismo e di un attaccamento esagerato all’etnia, che trasformano le nostre Chiese in ghetti e le chiudono su se stesse. Invece la missione di evangelizzazione ci chiama a vivere la diversità che caratterizza le venerabili tradizioni delle nostre Chiese in una comunione profonda che esprima le loro ricchezze e la loro bellezza.
Una Chiesa etnica e nazionalista si oppone all’opera dello Spirito Santo e alla volontà di Cristo, che ci dice: “ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra” (At 1, 8). San Paolo, per la passione che aveva per l’annuncio del Vangelo a tutti i popoli, si è dato l’appellativo di “apostolo delle genti”, potendosi gloriare di essere ebreo e israelita. Ascoltiamo ciò che dice: “sebbene io possa vantarmi anche nella carne [...] circonciso l'ottavo giorno, della stirpe d'Israele, della tribù di Beniamino, ebreo da Ebrei, fariseo quanto alla legge; quanto a zelo, persecutore della Chiesa; irreprensibile quanto alla giustizia che deriva dall'osservanza della legge. Ma quello che poteva essere per me un guadagno, l'ho considerato una perdita a motivo di Cristo” (Fil 3, 4-7). Per poter dare testimonianza di Cristo morto e risorto dinanzi alle nazioni pagane, Paolo ha dovuto sacrificare la propria nazione e la propria etnia. Noi siamo pronti a imitarlo in questo affinché le nostre Chiese possano trovare un nuovo soffio missionario che faccia cadere le barriere etniche e nazionaliste, che rischiano di asfissiarle e di renderle sterili?
L’“Instrumentum laboris” ha quasi ignorato l’importanza fondamentale della vita monastica e contemplativa per il rinnovamento e il risveglio delle nostre Chiese. Questa forma di vita, nata in Oriente, è stata all’origine di un’espansione missionaria straordinaria e di una testimonianza ammirevole delle nostre Chiese nei primi secoli. La storia ci insegna che i vescovi venivano scelti tra i monaci, vale a dire tra uomini di preghiera e di vita spirituale profonda, con una grande esperienza delle “cose di Dio”. Oggi purtroppo la scelta dei vescovi non obbedisce agli stessi criteri e ne constatiamo i risultati, che non sempre sono positivi.
L’esperienza bimillenaria della Chiesa ci conferma che la preghiera è l’anima della missione; è grazie ad essa che tutte le attività della Chiesa sono rese feconde e danno molti frutti. D’altronde, tutti coloro che hanno partecipato alla riforma della Chiesa e le hanno restituito la sua bellezza innocente e la sua giovinezza eterna sono stati fondamentalmente uomini e donne di preghiera. Non per nulla nostro Signore ci invita a pregare incessantemente. Constatiamo con rammarico e amarezza che i monasteri di vita contemplativa, fonte di abbondanti grazie per il popolo di Dio, sono quasi scomparsi dalle nostre Chiese d’Oriente. Che grande perdita! Che peccato!

[00061-01.06] [IN039] [Testo originale: francese]







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