Intervento di Mons. Ramzi GARMOU, Presidente della Conferenza Episcopale Iraniana
(IRAN)
L’“Instrumentum laboris” nella sua conclusione pone una domanda molto importante e
al tempo stesso piuttosto inquietante: Quale avvenire per i cristiani del Medio Oriente? Ritengo
che questa domanda ci rivolga un appello urgente a una vera e profonda conversione
del cuore verso una vita conforme al messaggio del Vangelo. È vero, il futuro della
Chiesa nei nostri paesi e nel mondo intero è nelle mani di Dio, che veglia sui suoi
figli come un Padre pieno di tenerezza e di misericordia. Ma è anche affidato alla
nostra responsabilità di pastori, successori degli apostoli, che hanno ricevuto il
mandato di pascere il gregge di Dio non per cupidigia ma per dedizione, divenendo
modelli del gregge (cfr. 1Pt 5, 2-3). Affinché questo Sinodo possa essere fonte
di grazia e di rinnovamento per le nostre Chiese è indispensabile ascoltare ciò che
lo Spirito Santo ci dice. È lui che può purificare il nostro cuore e liberarlo da
tutto ciò che ci impedisce di essere testimoni autentici e fedeli del Risorto. In
questo santo Sinodo ci viene chiesto di essere docili e attenti alla voce dello Spirito
Santo, che ci ricorda che la missione della Chiesa locale è quella di essere al servizio
del popolo al quale è mandata, che la sua missione principale è quella di annunciare
la Buona Novella del Vangelo secondo la cultura di quel popolo. Felicemente il documento
di lavoro ci mette in guardia contro il pericolo del confessionalismo e di un attaccamento
esagerato all’etnia, che trasformano le nostre Chiese in ghetti e le chiudono su se
stesse. Invece la missione di evangelizzazione ci chiama a vivere la diversità che
caratterizza le venerabili tradizioni delle nostre Chiese in una comunione profonda
che esprima le loro ricchezze e la loro bellezza. Una Chiesa etnica e nazionalista
si oppone all’opera dello Spirito Santo e alla volontà di Cristo, che ci dice: “ma
avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme,
in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra” (At 1, 8).
San Paolo, per la passione che aveva per l’annuncio del Vangelo a tutti i popoli,
si è dato l’appellativo di “apostolo delle genti”, potendosi gloriare di essere ebreo
e israelita. Ascoltiamo ciò che dice: “sebbene io possa vantarmi anche nella carne
[...] circonciso l'ottavo giorno, della stirpe d'Israele, della tribù di Beniamino,
ebreo da Ebrei, fariseo quanto alla legge; quanto a zelo, persecutore della Chiesa;
irreprensibile quanto alla giustizia che deriva dall'osservanza della legge. Ma quello
che poteva essere per me un guadagno, l'ho considerato una perdita a motivo di Cristo”
(Fil 3, 4-7). Per poter dare testimonianza di Cristo morto e risorto dinanzi alle
nazioni pagane, Paolo ha dovuto sacrificare la propria nazione e la propria etnia.
Noi siamo pronti a imitarlo in questo affinché le nostre Chiese possano trovare un
nuovo soffio missionario che faccia cadere le barriere etniche e nazionaliste, che
rischiano di asfissiarle e di renderle sterili? L’“Instrumentum laboris” ha quasi
ignorato l’importanza fondamentale della vita monastica e contemplativa per il rinnovamento
e il risveglio delle nostre Chiese. Questa forma di vita, nata in Oriente, è stata
all’origine di un’espansione missionaria straordinaria e di una testimonianza ammirevole
delle nostre Chiese nei primi secoli. La storia ci insegna che i vescovi venivano
scelti tra i monaci, vale a dire tra uomini di preghiera e di vita spirituale profonda,
con una grande esperienza delle “cose di Dio”. Oggi purtroppo la scelta dei vescovi
non obbedisce agli stessi criteri e ne constatiamo i risultati, che non sempre sono
positivi. L’esperienza bimillenaria della Chiesa ci conferma che la preghiera è
l’anima della missione; è grazie ad essa che tutte le attività della Chiesa sono rese
feconde e danno molti frutti. D’altronde, tutti coloro che hanno partecipato alla
riforma della Chiesa e le hanno restituito la sua bellezza innocente e la sua giovinezza
eterna sono stati fondamentalmente uomini e donne di preghiera. Non per nulla nostro
Signore ci invita a pregare incessantemente. Constatiamo con rammarico e amarezza
che i monasteri di vita contemplativa, fonte di abbondanti grazie per il popolo di
Dio, sono quasi scomparsi dalle nostre Chiese d’Oriente. Che grande perdita! Che peccato!