Intervento di Mons. Joseph ARNAOUTI, Esarca Patriarcale di Damasco degli Armeni, Vescovo
emerito di Kamichlié degli Armeni (SIRIA)
Nella “pienezza del tempo” (Gal 4, 4), Dio “inviò l'Unigenito suo Figlio, Gesù Cristo
il Salvatore, che si incarnò come asiatico!” (Ecclesia in Asia, n. 1) e che viene
da Oriente (Mt 24,27). Il Cristo è l’Amore misericordioso incarnato, morto e risuscitato.
È figlio dell’Oriente. L’Incarnazione, di cui abbiamo celebrato il giubileo nell’anno
2000, è concepita da Giovanni Paolo II (Novo Millennio Ineunte) “non solo come memoria
del passato, ma come profezia dell'avvenire” (n. 3). Lo stesso Papa riassume il XX
secolo come secolo di barbarie e di manifestazione della misericordia divina. In riferimento,
dunque, all’Instrumentum laboris, secondo obiettivo e parte del Sinodo: “ravvivare
la comunione ecclesiale”, farò una lettura dei segni dei tempi che riassume una frase
di Papa Benedetto XVI: “il mistero dell’amore misericordioso di Dio è stato al centro
del pontificato di questo mio venerato predecessore” (Giovanni Paolo II). Suggerisco
le seguenti proposte: 1. l’istituzione di una festa liturgica del Padre. Il “Padre
Nostro” è la preghiera ecumenica per eccellenza; 2. edificare insieme il Corpo
di Cristo: essere servitori della comunione, profeti della speranza e testimoni della
misericordia (Una speranza nuova per il Libano). Il Medio Oriente “è crocevia di diverse
Eparchie”. “Tale difficoltà può rivelarsi una grazia”, ma può impoverirle (n. 64).
Si osserva “l’assenza del senso della Chiesa come mistero di comunione” (n. 80); 3.
il primato della grazia e quello di Pietro nel terzo millennio. Dopo Paolo VI, Giovanni
Paolo II riconosce che il primato del Vescovo di Roma “costituisce un ostacolo” per
la maggior parte degli altri cristiani e invita a cercare con lui “le forme del ministero
di unità del Vescovo di Roma”. Il Concilio Vaticano II afferma, infatti, che il Vescovo
di Roma è il principio e il fondamento perpetuo e visibile dell’unità di fede e di
comunione (Lumen gentium n. 18). Per altro, secondo Papa Giovanni Paolo II, a partire
dalla debolezza umana di Pietro, è chiaro che il suo servizio specifico è un’azione
della grazia. Dopo il triplice rinnegamento, Pietro ha bisogno della misericordia
divina perché il suo servizio sia un servizio di misericordia, nato dalla multiforme
misericordia di Dio (Ut Unum Sint). Secondo lo stesso Papa, la Chiesa “in nessun periodo
storico ... può dimenticare la preghiera che è grido alla misericordia di Dio dinanzi
alle molteplici forme di male che gravano sull'umanità e la minacciano” (Dives in
Misericordia, n. 15).