Intervento di Mons. Jean Benjamin SLEIMAN, Arcivescovo di Baghdad dei Latini (IRAQ)
Il mio intervento riguarda il n. 55 dell’IL che afferma: “Sul piano delle relazioni
interecclesiali tra cattolici, questa comunione è manifestata in ogni Paese dalle
Assemblee dei Patriarchi e dei Vescovi, affinché la testimonianza cristiana sia più
sincera, credibile e fruttuosa. Per promuovere l’unità nella diversità, occorre superare
il confessionalismo in ciò che può avere di limitato e esagerato, incoraggiare lo
spirito di cooperazione tra le varie comunità, coordinare l’attività pastorale e stimolare
l’emulazione spirituale e non la rivalità. Si potrebbe suggerire che di tanto in tanto
(ad esempio ogni cinque anni), un’assemblea riunisca l’intero episcopato in Medio
Oriente.” La comunione compare una trentina di volte nell’Instrumentum. Essa rappresenta
il cuore della nostra identità ecclesiale, la dinamica dell’unità e della molteplicità
delle nostre Chiese. Da essa dipendono il nostro presente e il nostro futuro, la nostra
testimonianza e il nostro impegno, i nostri sforzi per arginare l’emigrazione che
ci indebolisce e per esorcizzare il disincanto che ci consuma. Ma la comunione
è contraddetta soprattutto dal confessionalismo. I riti si sono trasformati in confessioni.
È fondamentale anche che le nostre chiese sui iuris riscoprano le radici di questo
fenomeno che risalgono alle strutture arabo-islamiche primitive. Sono invitate a liberarsi
di questa eredità storica per “ritrovare il modello della comunità di Gerusalemme”.