Intervento di Mons. François EID, Vescovo di Le Caire dei Maroniti (EGITTO)
Il confessionalismo nelle società islamiche dove vivono e testimoniano molti cristiani
del Medio Oriente colpisce profondamente la loro condizione di spirito e il loro comportamento.
Ne derivano ghettizzazione, chiusure verso gli altri e ostilità. Questi cristiani
non sono “cittadini indigeni”. Anzi, appartengono fondamentalmente e organicamente
al tessuto sociale e all’identità nazionale dei loro rispettivi paesi. È per questo
che sono chiamati a vivere la loro fede e a testimoniarla con autenticità, gioia e
senza costrizioni. Ispirandosi alla Parola di Dio che invita ogni cristiano a fare
propria la sollecitudine del Signore per i poveri e i bisognosi, i membri della Chiesa
cattolica in Egitto sono profondamente impegnati nei servizi educativi (169 collegi)
come pure nei servizi sanitari e sociali. La loro azione è una manifestazione concreta
della sollecitudine di Dio e dell’amore di Cristo verso tutti i fratelli più piccoli
del Signore. Ne abbiamo un esempio chiarificatore nell’apporto di un piccolo gruppo
di cristiani libanesi emigrati in Egitto a partire dalla seconda metà del XIX secolo.
Questo piccolo gruppo dinamico e motivato era riuscito, in meno di cento anni, a fondare
249 giornali e periodici di lingua araba, francese e inglese. Sono loro che hanno
fondato la quasi totalità delle case editrici dai nomi prestigiosi e tuttora esistenti
in Egitto. E che cosa dire di quella pleiade di scrittori illuminati e di donne
scrittrici pioniere, che ha dato all’Egitto drammaturghi, registi, attori, musicisti
e cantanti! Vorrei citare anche tutti i costruttori di chiese, scuole e ospedali,
i fondatori di organizzazioni di beneficenza e di organismi socio-culturali, sportivi
e religiosi, senza dimenticare i brillanti uomini d’affari che hanno istituito la
Borsa d’Egitto e fondato la “Maison de l’Opéra”. Purtroppo, quel clima di apertura
e tolleranza così favorevole al fiorire dei loro talenti e al lancio di grandi progetti
è stato cancellato dalla rivoluzione del 1952, cosa che ha inferto un colpo fatale
al loro contributo socio-culturale. L’attuale Sinodo non può illudersi di trovare
una soluzione magica ai problemi delle Chiese nel Medio Oriente. Tuttavia, esso ci
offre l’occasione di procedere ad un esame di coscienza personale e comunitario che
ci consentirebbe di intravedere piste d’azione.