2010-10-12 14:24:45

Sudan. I leader cristiani all’Onu: “rischi di guerra se non verrà rispettata la volontà popolare”


“Il popolo del sud Sudan si aspetta che sia rispettato il suo diritto all’autodeterminazione il 9 gennaio 2011. Negare questo diritto significa negare la sua dignità umana” afferma una dichiarazione inviata all'agenzia Fides dal Sudan Council of Churches (Scc), una cui delegazione è in visita alla sede dell’Onu di New York. L’Scc è formato dai leader delle confessioni cristiane presenti in Sudan, tra le quali la Chiesa cattolica. Il 9 gennaio si vota per il referendum sull’indipendenza del sud Sudan, previsto dall’Accordo Inclusivo di Pace (Cpa), firmato a Nairobi (Kenya) nel 2005, che ha messo fine alla guerra ventennale tra nord e sud Sudan. All’approssimarsi della scadenza referendaria è in aumento la tensione tra nord e sud Sudan, al punto che qualcuno ha avanzato l’ipotesi di rimandare il voto. “La cancellazione o il rinvio del referendum, o la percezione che il risultato referendario non rappresenti la volontà popolare, non verranno accettati dalla popolazione e produrranno un pericoloso vuoto che potrebbe essere riempito dalla violenza e persino dal ritorno della guerra. La comunità internazionale deve essere pronta ad affrontare una contestazione del risultato del referendum” affermano i leader cristiani. Il documento ricorda il dovere della comunità internazionale, garante degli accordi, di intervenire: “il riconoscimento del principio di autodeterminazione dove essere il principio guida per evitare la guerra; un ritorno alla guerra rappresenterebbe un fallimento morale da parte di tutti coloro che si sono impegnati a mettere in pratica il Cpa, inclusi i garanti dell’Accordo e la comunità internazionale”. Per quanto riguarda il referendum sull’attribuzione di Abyei (regione contesa tra nord e sud) il comunicato afferma che “è molto in ritardo ed è soggetto a dispute e tentativi di rinegoziare gli accordi raggiunti”. I leader religiosi si dicono infine preoccupati per i sud sudanesi che vivono al nord. “La sicurezza e i diritti umani (compreso il diritto alla libertà di religione) delle persone originari del sud che vivono nel nord del Sudan sono in pericolo prima, durante e dopo il referendum. Vi sono già minacce e intimidazioni e si è creato un clima di paura. Alcuni abitanti del sud desiderano ritornare al sud, ma non hanno le risorse per farlo. Altri vivono al nord da generazioni e per loro sarebbe molto difficile stabilirsi al sud”. (R.P.)







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