Intervento di Mons. Kyrillos WILLIAM, Vescovo di Assiut, Lycopolis dei Copti (EGITTO)
Secondo l’Instrumentum laboris la liturgia è un aspetto profondamente radicato nella
cultura orientale, quindi non si può ridurne la forza se si vuole conservare oggi
la vivacità della fede. La storia ci conferma che nei nostri paesi del Medio Oriente
la liturgia è sempre stata una scuola per l’educazione alla fede e alla morale cristiana,
soprattutto tra le nostre popolazioni semplici e per la maggior parte analfabete,
grazie alle numerose letture bibliche (6 letture quotidiane nella nostra liturgia
copta, che aumentano nei giorni di festa e in occasione di alcune celebrazioni) e
alle preghiere composte da citazioni bibliche giustapposte. È per questo che dobbiamo
conservarla con grande rispetto, secondo quanto afferma il diritto canonico orientale
(cfr. can. 39 CCEO). Nella Costituzione Sacrosanctum Concilium, al paragrafo 4,
il Concilio Vaticano II afferma l’uguaglianza di tutti i riti per quanto riguarda
i diritti e la dignità. Nel Decreto conciliare Orientalium Ecclesiarum i padri conciliari
esprimono un particolare apprezzamento per il patrimonio delle Chiese orientali e
ne sottolineano i benefici per la Chiesa universale, citando la Lettera apostolica
“Orientalium Ecclesiarum” di Leone XIII del 30 novembre 1894. Il Decreto conciliare
sulle Chiese orientali cattoliche esorta, tra le altre cose, tutti gli occidentali
che sono in contatto con tali Chiese, a impegnarsi a conoscere e a rispettare le liturgie
orientali. e fa riferimento al Motu proprio “Orientis Catholici” di Benedetto XV del
15 ottobre 1917 e all’Enciclica “Rerum Orientalium” di Pio XI dell’8 settembre 1926. Il
canone 41 del CCEO conferma ciò, chiedendo di conoscere con precisione e di praticare
queste liturgie. Ora, constatiamo che non pochi religiosi latini traducono in arabo
la liturgia latina e la celebrano per i nostri fedeli orientali, favorendo in tal
modo il loro distacco dalle Chiese e un indebolimento della loro appartenenza alle
stesse. Per quanto riguarda la lingua liturgica (Instrumentum laboris, 72), non
abbiamo aspettato il Concilio Vaticano II per tradurre i testi liturgici nelle lingue
correnti del popolo. Sin dalle origini, la nostra liturgia copta è stata celebrata
nei diversi dialetti nell’Alto Egitto, e, nelle grandi città, in greco, lingua della
cultura e della vita quotidiana. A partire dal X secolo troviamo tutto in arabo. Questo
fattore ha aiutato a conservare la fede e, facendo un confronto con altri paesi vicini
come l’Africa del nord, constatiamo che dopo qualche secolo il cristianesimo, all’inizio
fiorente, è scomparso; infatti è stata imposta una liturgia straniera in una lingua
poco conosciuta. Vorrei chiedere una spiegazione: in un paese come il nostro, l’Egitto,
dove tutti (cattolici, non cattolici e anche non cristiani) sono copti, a che cosa
serve la celebrazione della liturgia latina in lingua araba? Se vi sono dei latini,
è loro diritto celebrare la Messa latina, ma in una lingua diversa dall’arabo, poiché
ciò attira i nostri fedeli e contribuisce alla loro dispersione.