In Sudan, tensione in vista del referendum sull’autodeterminazione del Sud del
Paese
A poco meno di tre mesi dal referendum sull’autodeterminazione del Sud Sudan sono
arrivati nel Paese i rappresentanti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite
per sostenere gli sforzi per la pacificazione dell’area. La situazione sul terreno,
tuttavia, resta altamente instabile e si susseguono gli scontri tra esercito sudanese
e formazioni ribelli del sud. In questi giorni, un dipendente della missione di peacekeeping
dell’Onu è stato rapito nel Darfur. Intanto, il presidente Bashir ha detto che nel
Sud Sudan si rischia la guerra civile. Sulla situazione nel Paese africano, Stefano
Leszczynski ha intervistato Irene Panozzo, giornalista esperta della questione
sudanese:
R. – Chiaramente
la visita dei rappresentanti del Consiglio di Sicurezza è un modo per premere su entrambi
le parti, cercando di porre l’attenzione sullo svolgimento del referendum del 9 gennaio,
ma anche di ricordare che continua a esserci una situazione di instabilità e di guerra.
D.
– Il fatto che i preparativi per questo referendum siano molto in ritardo rispetto
a quella che dovrà essere l’ampiezza dell’evento, l’importanza di questo evento elettorale,
cosa significa?
R. – L’accusa del governo del Sud Sudan è che Khartoum,
quindi il governo nazionale, ma in questo caso, in particolare, il partito del National
Congress, il partito del presidente Bashir, stia ritardando apposta tutti i preparativi
per il referendum in modo da renderlo più difficile, se non impossibile da condurre.
Poi, sicuramente ci sono anche delle obiettive difficoltà, dei ritardi organizzativi.
Ci sono stati grandi ritardi rispetto alla tabella di marcia inizialmente prevista
dal trattato di pace del 2005.
D. – In sostanza cosa cambia con questo
referendum se ci sarà il voto in favore dell’autodeterminazione?
R.
– Naturalmente se i sud sudanesi sceglieranno l’indipendenza e il Sud Sudan, quindi,
da regione di un Sudan più ampio diventerà uno Stato a sé stante, questo necessariamente
porrà le due capitali e i due governi, Juba e Khartoum, di fronte a tutta una serie
di decisioni su come gestire questa separazione ufficialmente consensuale delle due
parti del Paese, che riguardano appunto una serie di ampi problemi tra cui la spartizione
delle risorse. Gran parte dei campi petroliferi sudanesi si trovano a cavallo del
confine tra Nord e Sud Sudan.