Afghanistan: uccisi 4 alpini. I vescovi italiani: morti per servire la pace
In Afghanistan, 4 soldati italiani sono rimasti uccisi ed un altro è rimasto ferito.
L’attacco è avvenuto nella provincia di Farah, nella parte occidentale del Paese.
I talebani hanno rivendicato due attentati compiuti ieri sera contro militari statunitensi
e afghani nella stessa zona in cui sono stati uccisi stamani i 4 soldati italiani.
Il ministero degli Esteri britannico ha reso noto intanto che è stata uccisa una donna
inglese rapita lo scorso 26 settembre. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
L’imboscata
è stata scandita prima dall’esplosione di un ordigno e poi da un attacco a colpi di
arma da fuoco. I soldati rimasti uccisi stavano scortando un’autocolonna composta
da una settantina di mezzi con materiali per l’allestimento di una base che servirà
per il controllo dell’intera zona. Il presidente italiano Giorgio Napolitano
si è fatto interprete, in una nota, “del profondo cordoglio del Paese” e il Quirinale,
in segno di cordoglio, ha annullato il preannunciato concerto, previsto per domani,
in occasione del Cambio della Guardia d'onore. Il presidente del Consiglio
dei ministri, Silvio Berlusconi, ha espresso vicinanza alle famiglie delle vittime
e ribadito “la propria gratitudine ai soldati italiani che, nelle diverse missioni
in tante parti del mondo,consentono all’Italia di mantenere i suoi impegni internazionali
contro il terrorismo”. Il ministro della Difesa italiano, Ignazio La Russa,
ha aggiunto che, nella prospettiva del ritiro dei soldati italiani previsto nel 2011,
deve proseguire “l’addestramento dei militari afghani”. Il ministro degli Esteri Frattini
ha parlato di una necessaria accelerazione della fase di transizione. Il segretario
del Pd Pier Luigi Bersani, ha chiesto al governo di aprire una riflessione
sulla strategia in Afganistan. “La situazione sul campo – ha detto è difficile” e
le prospettive sono “incerte”. Dal 2004 sono 34 i soldati italiani rimasti uccisi
nel Paese. Dall’inizio della missione internazionale il 2010 è l’anno più cruento.
L’ultima drammatica notizia, diffusa oggi dal ministero degli Esteri britannico, è
quella di un’inglese, sequestrata lo scorso 26 settembre e uccisa ieri sera dai
suoi rapitori durante un’operazione di salvataggio.
La Conferenza episcopale
italiana ha espresso, in un comunicato, “profondo dolore” per la “tragica scomparsa”
dei “quattro giovani militari italiani mentre compivano con dedizione e professionalità
il loro quotidiano lavoro a servizio della pace in Afghanistan”. Ma ascoltiamo l’arcivescovo
Vincenzo Pelvi, ordinario militare per l’Italia intervistato da Luca Collodi:
R. - La sofferenza
del cuore è immensa, credo, e indescrivibile. Siamo veramente confusi e direi inquieti.
Circolano queste voci in questi attimi: "è proprio possibile che non si metta fine
alla guerra, al disagio di tante famiglie in situazioni di emarginazione?". In questi
momenti credo dobbiamo essere lucidi nella mente e nel cuore e pensare che i nostri
militari sono al servizio della sicurezza internazionale, anche perché dalla sicurezza
internazionale dipende la concordia. Direi che i nostri militari che muoiono in missione
internazionale di sicurezza sono un invito palpitante per gli uomini e le donne italiane,
perché ci sia veramente intesa e cammino per un bene comune.
D. – Secondo
lei, c’è la consapevolezza nei leader mondiali, nei politici dei vari Stati nel mondo,
di quello che si sta facendo in Afghanistan?
R. – C’è consapevolezza.
La consapevolezza ha bisogno anche di essere più esplicita, di essere veicolata, per
cui i popoli e le nazioni devono avvertire che hanno un fondamento, un sostegno che
è quella armonia di menti che fanno sì che ci sia costruzione di un’umanità più unita
e più serena. Ecco, quindi direi che la strategia va rispettata: è una strategia che
crea intese e mai frammentazioni, che innalza ponti e mai divisioni, perché tutti
stiano nella pace del cuore, ma soprattutto, e anche, nel benessere sobrio della vita
quotidiana.
Su questo nuovo, drammatico episodio del conflitto in Afghanistan
si sofferma, al microfono di Amedeo Lomonaco, anche il prof. Marco Lombardi,
responsabile dei progetti educativi in Afghanistan dell’università cattolica del Sacro
Cuore di Milano:
D. – Si tratta
dell’anno più cruento dall’inizio della missione internazionale nel 2001. A quali
fattori è legato questo dato?
R. – Era qualcosa di atteso, purtroppo.
Perché? Perché sta migliorando la situazione civile in Afghanistan e a questo punto
le truppe più radicali ed estremiste devono tentare il tutto per tutto. Dobbiamo attenderci
una recrudescenza in questo periodo, fra l’altro, perché arriva l’inverno e le cose
cambiano: in questo periodo bisogna in ogni caso rallentare la dinamica militare.
Quindi, aspettiamoci ancora qualche difficoltà.
D. – Cosa può realisticamente
fare la comunità internazionale per ridurre la distanza tra il conflitto e la pace?
R.
– Quello che sta facendo, cioè dare sicurezza alle zone per renderle vivibili. E gli
afghani dei villaggi, quelli in cui in questo momento sono accaduti questi fatti di
guerra pesantissimi, sono i primi che chiedono ai soldati italiani di vivere lì, di
stare lì con loro. E’ quello che gli italiani fanno, perché la loro quotidianità sia
possibile.