2010-10-08 08:38:01

Economia: incontro sulla "Caritas in veritate" presso il Pontificio Consiglio per i Laici


Qual è la buona economia? Com'è cambiato il capitalismo? Che cosa dobbiamo attenderci dal futuro? La cultura nichilista contemporanea ha sovvertito l'ordine tra fini e mezzi, tra persone e strumenti, assegnando ai secondi priorità e autonomia morale. Occorre diffondere la dottrina cattolica e ristabilire un legame fecondo tra produzione della ricchezza e impresa, ma soprattutto occorre un rinnovamento globale dell'uomo. È quanto è emerso dal convegno sulla Caritas in veritate organizzato dall'Associazione Carità e Politica e tenutosi presso la sede del Pontificio Consiglio per i Laici. Secondo quanto riferisce L’Osservatore Romano, è stato soprattutto il presidente dell'Istituto per le Opere di Religione, Ettore Gotti Tedeschi, a farsi interprete di questa necessità di cambiamento. Si tratta di una sfida ambiziosa e impegnativa. Pochi ne tengono conto, ma alla radice della crisi attuale c'è un deterioramento del capitalismo sano, quello di matrice cristiana. E l'etica può, in questo momento, essere un valore aggiunto. Non esiste un'etica della finanza ma solo un'etica di chi fa finanza e opera nel mercato. E della mancanza di un orientamento etico - si è detto al convegno - il mondo ha molto risentito in questi anni. Il buon capitalismo si fonda infatti su una serie di principi: l'imprenditore che investe il suo capitale, il rischio assunto e l'iniziativa a lungo termine. Negli ultimi vent'anni, questo sistema è stato invece snaturato perché chi ha creato più ricchezza non l'ha fatto attraverso forme quali l'investimento, la gestione del rischio e il lungo termine, ma attraverso attività di carattere speculativo, a breve termine e molto spesso ricorrendo a mezzi quali la corruzione e la speculazione. La causa di questo cambiamento è la fine dell'imprenditore: nel mondo globale, l'imprenditore diventa sempre più piccolo e si diluisce fino a scomparire; il suo posto è stato ormai preso dal fondo d'investimento che gestisce più imprese e in ognuna di esse decide qual è la politica da seguire attraverso la nomina dell'amministratore delegato. Il fondo d'investimento non ha più una visione a lungo termine, ma vuole soltanto qualcuno che realizzi velocemente il piano industriale e raggiunga l'utile prefissato. C'è però una seconda ragione, forse più profonda, di un tale cortocircuito storico: con la complicità dei governi – è stato sottolineato - la finanza ha tradito il suo ruolo originario, quello di essere un supporto dell'economia reale, diventando invece il traino di quest'ultima. Il potere politico invece di regolamentare ha spinto la crescita del prodotto interno lordo a debito. E l'Europa inoltre, di fronte allo strapotere dei giganti asiatici, non ha saputo dotarsi di un vero piano industriale e ora ne paga le conseguenze. In questo panorama, il caso italiano merita un capitolo a sé. L'Italia, infatti, è dotata di capacità straordinarie ma che - come è emerso a margine del convegno - sembrano non utilizzate a dovere. Esistono infatti due grandi risorse, tutte italiane, che sono il risparmio e le piccole e medie imprese. Ma entrambe restano poco valorizzate. I risparmi sono anzi penalizzati dai tassi zero, decisi come politica economica a livello internazionale, e l'imprenditoria che crea sviluppo non è supportata come meriterebbe. Il vero problema, in Italia come altrove - è stato detto - riguarda allora la mentalità. È necessario un cambiamento.







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