Il Cir lancia un progetto per il ricongiungimento familiare di 300 rifugiati
“Ritrovarsi per ricostruire” è il nome del progetto presentato a Roma destinato a
favorire il ricongiungimento familiare di 300 tra rifugiati e persone con protezione
sussidiaria. Finanziato con una parte del fondo dell’8 per mille il progetto è curato
dal Cir, il Consiglio Italiano per i Rifugiati. Si tratta del più importante intervento
mai finanziato in Italia sul ricongiungimento familiare dei rifugiati in sei regioni
italiane. Ricongiungersi ai familiari - è stato sottolineato dal Cir - ha un valore
particolare per i rifugiati e per il loro progetto di integrazione e di costruzione
di una nuova vita. Sulle difficoltà legate a questo fenomeno in perenne movimento
sentiamo Christopher Hein, direttore del Consiglio Italiano per i Rifugiati
intervistato da Stefano Leszczynski.
R. - In questi
giorni è stato pubblicato un rapporto dell’Agenzia dell’Unione Europea per il controllo
delle frontiere esterne (Frontex) che dimostra molto chiaramente anche una diminuzione
degli arrivi di immigrati, richiedenti asilo e rifugiati, non solo nel Mar Mediterraneo
ma anche nell’Europa dell’Est e perfino nel mare tra la Grecia e la Turchia. Quindi
c’è una tendenza più generale, più persone cercano anche le rotte verso il Sud, vanno
verso i Paesi del Golfo.
D. - Quando parliamo di ricongiungimento familiare,
parliamo di qualcosa di molto complesso, difficile da realizzare. Quali sono i problemi
e gli ostacoli che bisogna superare in Italia ma ovviamente, poi, anche in tutta l’Unione
Europea?
R. - I problemi sono sempre gli stessi: lavoro e casa, come
condizioni anche per procedere al ricongiungimento famigliare. Lavoro e casa significa
che questo progetto intende affrontare contemporaneamente le due questioni che sono
legate tra di loro: chi non ha casa non trova lavoro e chi non ha lavoro non può pagare
la casa. Quindi, le due cose vanno intimamente insieme e devono essere affrontate
contemporaneamente. Cosa vuol dire? Noi vediamo nella quotidianità le grandi difficoltà,
nelle aree metropolitane come Milano, Roma, Napoli, etc.; anche i rifugiati che hanno
pieno titolo di soggiorno e permesso di lavoro non riescono a trovare un alloggio,
non solo per un motivo economico, ma spesso anche per un motivo di semplice razzismo.
D.
- A livello internazionale, ad esempio, per quei nuclei famigliari che sono rimasti
smembrati da guerre o da catastrofi, quali sono le difficoltà per rintracciare le
persone che sono rimaste fuori?
R. - Il problema nasce nel momento dell’atto
burocratico. Uno deve dimostrare con documenti originali, del Paese di origine - atto
di matrimonio, atto di nascita - e nelle situazioni di fuga è molto difficile reperire
questi documenti. Quindi, il problema non è tanto di rintracciare fisicamente le persone
ma di procurarsi la documentazione. Le persone si disperdono a causa del conflitto
nel Paese di origine, della guerra, etc... Molto spesso si perdono durante il tragitto,
durante la fuga, durante il viaggio o non possono imbarcarsi tutti insieme e qualcuno
rimane nel Paese di transito e poi disperatamente cerca di raggiungere i famigliari.
Noi stiamo seguendo casi di questa natura, che sono i più drammatici, in un certo
modo, perché l’altro membro della famiglia non si trova neanche nel Paese di origine
ma in un Paese sconosciuto del quale magari neanche parla la lingua.