I leader di Giappone e Cina tornano a parlarsi direttamente, dopo la crisi di inizio
settembre innescata dalla collisione tra un peschereccio di Pechino e due motovedette
giapponesi al largo delle Senkaku, Isole in pieno Mar Cinese orientale controllate
da Tokyo, ma rivendicate da Cina e Taiwan. Il contenzioso sul tratto di mare aveva
portato all’arresto del capitano del peschereccio cinese, liberato dopo 16 giorni.
Ieri a Bruxelles, i premier dei due Paesi, Naoto Kan e Wen Jiabao, si sono incontrati
a margine del vertice Asia-Europa, concordando sulla ''necessità di rafforzare le
relazioni bilaterali'' e riavviare colloqui ai livelli più alti. Si può dunque dire
che la crisi tra Cina e Giappone stia rientrando? Giada Aquilino lo ha chiesto a Francesco
Sisci, editorialista del quotidiano La Stampa da Pechino:
R. – C’è
un forte interesse di entrambi perché la crisi rientri. Soltanto questa volontà è
già sufficiente da una parte per dire che la crisi sta rientrando, dall’altra, però,
ci sono problemi oggettivi che sono alla base di questa impasse. Uno è quello territoriale,
che riguarda le Isole Senkaku, e l’altro è legato alla relativa crescita della Cina
e alla decrescita del Giappone, col conseguente cambiamento degli equilibri strategici
all’interno dell’asse fra le due Nazioni.
D. – Perché le Isole Senkaku
sono al centro di un così lungo contenzioso?
R. – Intorno alle Isole
Senkaku c’è un grande giacimento di gas e petrolio, la cui definizione territoriale
non è assolutamente chiara. Prima, i due Paesi non erano interessati a questi che
sono poco più che scogli, visto che non avevano grande importanza strategica. Dopo
la scoperta del gas e del petrolio, invece, è cambiato tutto.
D. – I
due Paesi erano arrivati a ritorsioni politiche e commerciali. Anche in vista del
prossimo vertice dell’Apec in novembre, che si terrà in Giappone, cosa c’è da aspettarsi?
R.
– Credo che entrambi i Paesi, adesso, siano interessati a rallentare la tensione.
Non c’è alcun vantaggio vero a continuare la crisi se non quello di alimentare le
rispettive aree nazionaliste ed antigovernative, sia in Giappone sia in Cina. Tutti
e due i governi hanno quindi un forte interesse a raffreddare il clima. Certo, però,
che i problemi sottostanti rimangono e dovranno essere in qualche modo risolti.
Intanto,
nonostante le pressioni di Usa e Ue al Forum di dialogo tra Unione europea e Asia
(Asem), in corso a Bruxelles, la Cina non rivaluterà la propria moneta nazionale,
lo yuan, e manterrà tassi di cambio “relativamente stabili”, come annunciato dal premier
cinese, Wen Jiabao. Stati Uniti ed Europa accusano la Cina di tenere artificialmente
basso il valore della moneta nazionale per favorire le proprie esportazioni ai danni
delle altre. Le tensioni sulla moneta cinese sono peggiorate, dopo che la settimana
scorsa in Usa è stata presentata una proposta di legge che permette all’amministrazione
americana di imporre sanzioni commerciali alla Cina per lo yuan sottovalutato.