Fallito golpe in Ecuador: si dimette il capo della Polizia
Ore di tensione in Ecuador per la rivolta della Polizia, che, la notte scorsa, durante
una protesta per il taglio dei salari, ha messo in atto un tentativo di colpo di Stato.
Il presidente Correa è stato sequestrato per alcune ore in un ospedale di Quito. La
sua liberazione è avvenuta dopo un blitz dell’esercito che ha provocato almeno 2 morti
e una trentina di feriti. Parlando in televisione il capo dello Stato ha assicurato
che la situazione è tornata pienamente sotto controllo, ma ha affermato di aver trascorso
il giorno più duro del suo governo. Il capo della Polizia, Freddy Martinez, si è dimesso
per non essere riuscito a prevenire la ribellione. Ma cosa ha provocato la protesta
degli agenti? Eugenio Bonanata lo ha chiesto a Piero Gorza, docente
di Antropologia politica all’Università di Torino.
R. - Si tratta
di un tentativo di un colpo di Stato e si inserisce anche in un atteggiamento generalizzato
delle forze armate di sindacalismo costante rispetto al potere politico, per mantenere
posizioni di potere. Correa, sicuramente, aveva provveduto a ridurre quelli che erano
gli incentivi della Polizia e anche a rallentare la progressione della carriera, qualcosa
che in qualche modo indeboliva e colpiva direttamente il potere della Polizia che
è forte in Ecuador, ma potremmo dire in qualsiasi Paese latinoamericano. Il problema
è che, comunque vada, Correa all’interno del Paese ha ancora un fortissimo consenso;
un colpo di Stato sarebbe risultato difficile, difficilmente gestibile all’interno
dell’Ecuador.
D. - Correa, tuttavia, ha puntato il dito contro l’opposizione,
accusandola di aver fomentato la rivolta degli agenti …
R. - In particolare,
ha puntato il dito contro Lucio Gutierrez. Lucio Gutierrez è un colonnello, un militare
che partecipò al colpo di Stato con Mahuad nel 2000 e poi è restato politicamente
attivo dal 2003 al 2005, con l’appoggio della CONAIE, cioè la Confederazione delle
Nazioni Indigene dell’Ecuador. Lo rivediamo candidato nel 2009. E’ sicuramente espressione
del potere militare, dei poteri corporativi delle Forze armate, però in una posizione
debole e avrebbe avuto poca probabilità di poter gestire una situazione di colpo di
Stato, tenendo conto che, tra l’altro, il colpo di Stato ha ricevuto risposta negativa
e Correa ha ricevuto gli appoggi di tutti i governi latinoamericani.
D.
- E, infatti, tutti i Paesi vicini hanno condannato immediatamente quanto accaduto
…
R. - Sicuramente Venezuela, Cuba e Bolivia hanno condannato in modo
chiaro il colpo di Stato, anche perché formano parte di una stessa alleanza politica
- che si riconosce nell’alleanza bolivariana dei Paesi latinoamericani e del Caribe,
ma questo era abbastanza scontato. Interessante è l’appoggio della Colombia. Dopo
i fatti delle FARC e dopo l’alta tensione tra i due Paesi e, tra l’altro, la tensione
tra la Colombia e il Venezuela, l’appoggio della Colombia a Correa è estremamente
significativo ed è segno anche delle difficoltà di poter portare avanti un colpo di
Stato. Teniamo conto anche di un’altra cosa. I colpi di Stato in Sud America, in realtà,
oggi sono più difficili o sembrano più difficilmente percorribili. Cioè, insomma,
i processi che si sono susseguiti a Pinochet e il fatto che l’immunità non sia più
garantita alle Forze armate fa sì che queste siano più titubanti nel procedere “manu
militari” alla destabilizzazione e al sovvertimento degli equilibri politici.