Bombe in Nigeria nel 50.mo d'indipendenza. Liberati 15 bambini sequestrati giorni
fa
Attentati oggi ad Abuja, capitale della Nigeria, mentre si svolgeva la parata per
la Festa dell'indipendenza del Paese. Almeno sette i morti. La violenza arriva dopo
il sospiro di sollievo vissuto ieri per la liberazione dei 15 bambini rapiti nei giorni
scorsi al confine del delta del Niger. Il rapimento, probabilmente ad opera del Mend,
il gruppo ribelle e secessionista del delta del Niger, aveva fatto molto clamore vista
la tenera età dei rapiti, tutti compresi tra 3 e i 10 anni. Lo stesso presidente della
Repubblica aveva lanciato un appello affinché i piccoli venissero rilasciati definendo
l’azione “inumana e crudele”. I bimbi stanno bene e hanno fatto pronto ritorno alle
loro famiglie. I ribelli avevano fatto sapere tramite un’email alle autorità di aver
posto numerose bombe nel tragitto della parata.
Il Rwanda accusa le Nazioni
Unite di voler riscrivere la storia A poche ore dalla pubblicazione del rapporto
delle Nazioni Unite sulle stragi commesse nel mondo dal 1993 al 2003, il Rwanda ha
pubblicamente manifestato il proprio dissenso. Il documento, che definisce come "genocidio"
il massacro perpetrato dall’esercito rwandese verso i rifugiati Hutu nella Repubblica
Democratica del Congo, è stato definito dal ministro degli Esteri del Rwanda, Luoise
Mushikiwabo, “cattivo, pericoloso e mistificatore”, oltre a costituire un “insulto
alla storia”. Il ministro accusa inoltre le Nazioni Unite di voler riscrivere la storia,
dividendo inappropriatamente le responsabilità del genocidio che ha avuto luogo in
Rwanda e di voler rinfocolare il conflitto sia nel Paese che nell’intera regione.
Stop
alla sciopero, si torna a circolare in Grecia Ritorna alla normalità in Grecia
la situazione dei trasporti. Dopo un lungo braccio di ferro tra governo e sindacati
degli autotrasportatori, nelle prime ore di oggi i camionisti, fermi per uno sciopero
che durava ininterrotto da 18 giorni, hanno ripreso lentamente a circolare. Ieri,
dopo l’approvazione delle norme antisciopero che prevedono il carcere fino a 5 anni
per coloro che non eseguono l’ordine di precettazione, il ministro dello Sviluppo
e della Competitività ha promesso misure in sostegno del settore. Il settore degli
autotrasporti manifestava contro un progetto di liberalizzazione che avrebbe abbassato
i costi delle licenze. Lo sciopero ha causato gravi danni all’economia greca: si parla
di 5 miliardi di euro.
Dopo la fiducia di Camera e Senato, Berlusconi a
colloquio con Napolitano Archiviata la doppia fiducia di Camera e Senato sul
patto programmatico proposto dal premier, Silvio Berlusconi, il governo prova ora
ad aprire una stagione riformatrice, secondo le parole del presidente del Consiglio,
che questa mattina è salito al Quirinale per un colloquio con il capo dello Stato,
Giorgio Napolitano. Ma il futuro della legislatura resta condizionato dal rapporto
con i finiani di Futuro e libertà, ormai decisivi a Montecitorio. Il servizio di Giampiero
Guadagni.
Il governo
va avanti, ma l’incertezza rimane. È questa la sintesi che si può trarre da quanto
accaduto nelle ultime 48 ore in parlamento con il dibattito e la fiducia sui cinque
punti del nuovo patto di programma. Dopo il voto della Camera, che ha certificato
il peso dei finiani, ieri in Senato Berlusconi per la prima volta ha sostanzialmente
riconosciuto Futuro e libertà come la terza gamba del centrodestra, dicendosi convinto
che questo gruppo saprà essere come sempre costruttivo e leale con il governo. E dai
finiani è arrivata una conferma in questo senso. Alla fine, il premier ha potuto dire
che la maggioranza ora è numericamente anche più forte di prima e in grado di concludere
la legislatura con rinnovato slancio riformista. Una lettura contestata dall’opposizione,
che parla di ciclo politico ormai finito. E l’Udc ha seccamente respinto l’appello
del premier a condividere una strada comune. Un "no" atteso ma che ha comunque deluso
Berlusconi il quale, concludendo il suo intervento a Palazzo Madama, ha sottolineato:
"A volte lascerei ad altri il sacrificio del governo". Una frase e un tono dai quali
è sembrata trasparire una certa preoccupazione per la tenuta della maggioranza, con
la Lega insofferente rispetto alle tensioni degli ultimi tempi e che preme per elezioni
anticipate, e con Futuro e libertà che sta per costituirsi in partito e d’ora in poi
intende contrattare ogni provvedimento. A partire da quelli che riguardano il sempre
spinoso tema della giustizia: il prossimo 14 dicembre, la Consulta si esprimerà sulla
costituzionalità del legittimo impedimento. Il Pdl intende allora accelerare sul lodo
Alfano costituzionale, che nell’ultima versione prevede lo scudo giudiziario solo
per capo dello Stato e Presidente del Consiglio. Ma il contrasto vero, in materia,
è destinato a riemergere sul processo breve, avversato dai finiani. Mentre torna in
primo piano l’ipotesi di una nuova legge elettorale, sollecitata in particolare dall’Udc
di Casini. E su questo tema potrebbe nascere un asse tra la stessa Udc e Futuro e
libertà, asse che qualche osservatore considera la prova generale del terzo polo.
Secondo
fonti diplomatiche, Netanyahu respinge il piano americano sulle colonie Proseguono
anche oggi fitti contatti diplomatici per tenere in vita i negoziati di pace israelo-palestinesi,
malgrado la crisi maturata nei giorni scorsi con la fine della moratoria israeliana
nelle colonie in Cisgiordania. Non fa ben sperare l’ultima presa di posizione di Netanyahu.
Il servizio di Marco Onali:
Il premier
israeliano, Netanyahu, sembra abbia respinto la lettera del presidente Usa, Barack
Obama, su un accordo per l'estensione della moratoria, deludendo fortemente la Casa
Bianca. A riferirlo è stato il quotidiano Haaretz, proprio oggi in cui l’inviato statunitense,
George Mitchell, è atteso dal primo ministro israeliano nella sua residenza privata.
Nella sua proposta, Obama chiedeva l’estensione di 60 giorni della moratoria sulle
colonie. In cambio, offriva un aumento degli aiuti militari, un fermo sostegno all’Onu
e l’impegno ad appoggiare in futuro la presenza militare israeliana nella valle del
Giordano. Secondo fonti diplomatiche, è dura la reazione di Washington, che avrebbe
definito “umiliante la condotta del premier”. Israele fa comunque sapere di voler
continuare i colloqui e di proseguire i negoziati.
Ribelli pakistani
bruciano i mezzi per il rifornimento Nato Continuano in Pakistan le azioni
di violenza contro le forze Nato. Venti ribelli hanno infatti aperto il fuoco e lanciato
razzi contro 27 mezzi della coalizione che trasportavano carburante parcheggiati nei
pressi di una stazione di rifornimento vicino la città di Shikarpur, nella provincia
meridionale del Pakistan. L’attacco, che ha provocato tre morti e tre feriti, non
è stato tuttavia rivendicato, anche se si sospetta l’azione talebana. Contemporaneamente,
nel nord del Paese un elicottero delle Nazioni Unite, impegnato in azioni umanitarie
in aiuto delle vittime delle alluvioni, è precipitato provocando il ferimento di oltre
13 persone.
Colossi dell’energia abbandonano l’Iran Continua la querelle
diplomatica tra Stati Uniti e Iran. Dopo che il Congresso statunitense aveva paventato
il rischio per quattro grandi multinazionali dell’energia di incorrere nelle sanzioni
previste per chi intrattiene alcuni tipi di commercio con l’Iran, i Cda di Royal Dutch
Shell, Eni, Total e Statoil hanno comunicato l’intenzione di interrompere gli investimenti
nel Paese. Nel caso in cui fossero continuati gli investimenti in Iran, le compagnie
sarebbero incorse nella messa al bando di ogni business negli Stati Uniti. Ma le misure
del governo americano prevedono anche sanzioni ad personam: il presidente Obama
ha infatti firmato un decreto che impone il congelamento dei beni americani di otto
membri dell’esecutivo iraniano, rei di aver violato i diritti umani. Tra gli otto,
il capo dei Pasdaran, Mohammed Ali Jafari, il ministro dell’Interno, Mostafa Mohammed
Najjar, e il ministro del Welfare e dello sviluppo, Sade Mahsouli. Dura la reazione
di Teheran, che ha chiesto spiegazioni all’ambasciatore svizzero - che supplisce all'assenza
di quello americano per via della mancanza di relazioni bilaterali tra i due Stati
- sulla misura, considerata “un atto di intromissione negli affari interni”. E a proposito
di Svizzera, la società elvetica sussidiaria di National Iranian Oil Company è incappata
nelle sanzioni.
Tre mesi senza governo: in Nepal nuova fumata nera del parlamento Non
accenna a sbloccarsi la crisi politica in Nepal. Nella giornata di ieri, il parlamento
si è nuovamente riunito per scegliere un primo ministro, ma nuovamente non è stato
in grado di eleggere il candidato. La piccola nazione himalayana sta vivendo la più
grande impasse politica da quando, nel 2008, è divenuto una Repubblica. Il
parlamento, che conta 598 membri, non è infatti in grado di eleggere un primo ministro
dallo scorso luglio. Ieri, il candidato di turno, rappresentante del partito del “Congresso
nepalese”, ha ottenuto soltanto 105 voti. Attualmente, la fomazione di maggioranza
risulta essere il Partito maoista, che ha chiesto nuove candidature. Il presidente
dell’Assemblea nazionale ha però convocato un nuovo voto per la prossima settimana.
Sul
prossimo rilascio di Aung San Suu Kyi, lo scetticismo del legale della leader La
giunta militare birmana ha annunciato ieri la liberazione di Aung San Suu Kyi, leader
dell’opposizione interna e da oltre 15 anni agli arresti domiciliari, dopo le elezioni
legislative in programma per il 7 novembre prossimo. Lo hanno reso noto fonti governative,
specificando che la donna potrebbe essere rilasciata il 13 del mese. Scetticismo è
stato espresso dal legale della Premio Nobel per la pace che ha affermato: “Si tratta
di un annuncio per placare le pressioni internazionali e le recenti prese di posizione
dell’Onu contro il regime”. Per un commento, Cecilia Seppia ha sentito Piero
Fassino, inviato speciale dell’Ue per la Birmania:
R. - È una
notizia che era attesa da tempo perché si sapeva che nella seconda parte di novembre
sarebbero scaduti i termini della condizione di arresti domiciliari per Aung San Suu
Kyi. Ci auguriamo, naturalmente, che effettivamente sia così e la liberazione di Aung
San Suu Kyi non può che essere salutata positivamente. Naturalmente, il rammarico
è che Aung San Suu Kyi sia liberata una settimana dopo le elezioni e non prima delle
elezioni.
D. - E' possibile leggere la liberazione di Aung San Suu Kyi
come un primo passo per una nuova pagina nella vita politica, e non solo, di tutto
il Myanmar?
R. - Se il passaggio elettorale sarà credibile e trasparente,
potrà aprirsi una fase nuova. Si eleggerà un parlamento che oggi non c’è, si eleggerà
un governo civile e non più militare, si aprirà una fase più dinamica nella quale
si tratta di verificare gli spazi per un processo di transizione democratica. Valuteremo
l’8 novembre che cosa è successo.
D. - Secondo notizie ufficiali, il
partito di Aung San Suu Kyi, la Lega nazionale per la democrazia, non parteciperà
a questa tornata elettorale. L’idea di ripristinare la democrazia si fa ancora più
lontana. Come va letto questo dato?
R. - Alle elezioni parteciperanno
33 partiti, tra cui anche un partito che si chiama National democratic front che è
stato costituito da quella parte della Lega nazionale per la democrazia che ha ritenuto
di partecipare alle elezioni. La maggioranza della Lega nazionale per la democrazia
ha deciso di non registrarsi alle elezioni e per questo è stata esclusa. Io non entro
ovviamente nel merito di questa decisione che rispetto, registro però che queste sono
le prime elezioni dopo vent’anni. È significativo che settori di opposizione, che
presentano candidati che hanno sulle spalle anche molti anni di carcere, abbiano invece
deciso di partecipare a queste elezioni, così come hanno deciso di partecipare alle
elezioni i partiti delle minoranze etniche: non perché non vedano tutte le insidie,
i rischi e le difficoltà, ma perché hanno valutato che questo sia uno spazio che in
ogni caso va utilizzato. Per questo, credo che in questo momento l’atteggiamento più
giusto sia quello di insistere nel richiedere alle autorità birmane di garantire che
il percorso elettorale sia credibile e trasparente. (Panoramica internazionale
a cura di Fausta Speranza e Marco Onali)
Bollettino del Radiogiornale
della Radio Vaticana Anno LIV no. 274
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