2010-09-26 15:40:34

Pellegrinaggio di giovani in Turchia alla sequela di don Andrea Santoro


Sulle tracce di don Andrea Santoro per mantenere aperta quella finestra per il Medio Oriente da lui schiusa dalla diocesi di Roma. Le hanno percorse nello scorso mese di agosto alcuni ragazzi della parrocchia dei Santi Fabiano e Venanzio con l’Associazione “Finestra per il Medio Oriente”. È stato il primo pellegrinaggio in Turchia organizzato dall’Associazione fondata dallo stesso sacerdote, ucciso a Trebisonda il 5 febbraio del 2006. Tiziana Campisi ha chiesto alla presidente di “Finestra per il Mondo”, Giulia Pezone, com’è nata l’idea di proporre ai giovani questa esperienza estiva:RealAudioMP3

R. – Nel nostro gruppo giovanile, c’era l’idea di far vivere ai ragazzi un’esperienza forte, un’esperienza di fede alta, e abbiamo pensato proprio alla Turchia, perché è stata la terra calpestata dai piedi degli Apostoli, e che ha visto per la prima volta la comunità cristiana chiamata così: ad Antiochia, i cristiani per la prima volta sono stati chiamati in questo modo. Quindi, l’idea era di vedere queste terre, questi luoghi che hanno un significato profondo per la cristianità, nello stesso tempo per la comunità della parrocchia dei Santi Fabiano e Venanzio è il luogo in cui è stato ucciso don Andrea Santoro. Abbiamo fatto quindi un cammino di preparazione con i ragazzi lungo un anno per affrontare il viaggio. Siamo stati sei giorni a Trabzon e ci siamo poi spostati a Istanbul. Un incontro importantissimo che i ragazzi hanno potuto avere è stato quello con il Patriarca ortodosso ecumenico, Bartolomeo I. Voleva essere un modo per far vivere anche ai ragazzi questo splendido cammino che si sta compiendo verso l’unità. Il Patriarca ha rivolto ai ragazzi parole molto belle: li ha incoraggiati a vivere alto.

D. – Che cosa è rimasto nel cuore dei ragazzi che hanno preso parte al pellegrinaggio?

R. – E’ stato un impatto forte vivere in un Paese diverso, in un Paese islamico. Noi abbiamo tenuto a far vivere ai ragazzi un pellegrinaggio che avesse un po’ lo stile della “Finestra per il Medio Oriente”, che è l’Associazione fondata da don Andrea: quindi il venerdì, ad esempio, si è scelto di proposito di partecipare in qualche modo alla preghiera più importante per gli islamici. Con molto rispetto, quel giorno ci siamo fermati con loro, abbiamo aspettato che terminassero la preghiera senza continuare a visitare i monumenti come turisti. Ma i ragazzi hanno potuto sperimentare anche la Chiesa-minoranza, e quindi le difficoltà delle comunità, persone che affrontano anche molte ore di cammino, a volte anche a piedi, per raggiungere l’unica chiesa, lontana chilometri e chilometri... Di certo, loro si sono sentiti interrogati da queste testimonianze: per noi, che abbiamo un’abbondanza di possibilità di celebrazioni, di sacerdoti, di chiese un’esperienza del genere è qualcosa che rimette in gioco molto. Si torna qui, in Occidente, pungolati: si sente che la tanta grazia che abbiamo a disposizione e che a volte tendiamo a giudicare, a sottovalutare, in realtà non possiamo permetterci di non averne cura. Torniamo con più voglia di darci da fare per le nostre chiese.

D. – In quale maniera i giovani romani rispondono alle iniziative di “Finestra per il Medio Oriente”?

R. – Dopo la morte di don Andrea Santoro e l’uccisione di mons. Luigi Padovese, vescovo di Iskenderun, nell’Anatolia, c’è sicuramente un forte coinvolgimento emotivo. Penso però sia necessaria una crescita nella fede: posso parlare, appunto, dei ragazzi che sono venuti con noi in Turchia quest’estate. Molti di loro sono stati battezzati o sono stati seguiti nel percorso di preparazione alla Prima Comunione da don Andreastesso. Si viene messi in discussione in maniera forte, dal punto di vista della fede. Fra l’altro, la Turchia, come molti luoghi del Medio Oriente, non permette una presenza di ospedali, scuole, gestiti da istituzioni cattoliche – ce ne sono pochi insomma, è una situazione particolare – non si può intervenire o essere presenti nella modalità in cui noi tradizionalmente pensiamo la presenza delle Chiese nelle terre di missione. E quindi, viene chiesto di andare alla radice, al cuore della fede di ciascuno. Si deve arrivare ad una testimonianza di fede che passi essenzialmente attraverso una presenza spesso muta: una presenza che può passare soprattutto attraverso il comportamento. Si va al cuore. E allora, il non poter fare ma il dovere essere sicuramente porta a una crescita e a una maturazione nella fede.







All the contents on this site are copyrighted ©.