Celebrazioni di chiusura dell’Anno vincenziano all’“Augustinianum” di Roma
“Carità e Missione” i pilastri che hanno retto le celebrazioni e gli eventi dell’Anno
vincenziano, apertosi il 27 settembre 2009 e conclusosi oggi. Presso l’Istituto Augustinianum
di Roma, per tre giorni, religiosi, docenti universitari e studiosi sono intervenuti
sui carismi dei fondatori della grande Famiglia Vincenziana, San Vincenzo de' Paoli
e santa Luisa de Marillac, di cui quest’anno ricorrono i 350 anni dalla morte. Ma
il giubileo vincenziano ha ricordato in questo anno anche altre importanti ricorrenze:
i 200 anni dall’arrivo delle Suore di Santa Giovanna Antida Thouret a Napoli, i 150
dalla morte di San Giustino de’ Jacobis. La tre giorni all’Augustinianum in
vista della chiusura di oggi si è aperta venerdì con la celebrazione eucaristica presieduta
dal cardinale Josè Saraiva Martins, prefetto Congregazione per le Cause dei Santi.
Il cardinale Martins ha definito “la carità vincenziana non di resa ma di lotta, resistenza,
coraggio” ricordando “la fame di Dio nel XVII secolo a cui lo Spirito Santo rispose
con la nascita di San Vincenzo e di Santa Luisa”. Ieri pomeriggio, circa cinquemila
vincenziani – tra gruppi, movimenti, giovani, religiosi e laici dall’Italia e dall’estero
– hanno preso parte nella Basilica di San Pietro alla celebrazione eucaristica presieduta
dal cardinale Franc Rodè, prefetto della Congregazione Vita Consacrata e Società di
Vita Apostolica, anch’egli vincenziano. “Per il nostro apostolato occorrono ginocchia,
braccia, sudore”, ha detto il porporato, che ha portato ai presenti diversi pensieri
dei due Santi, ricordando che “San Vincenzo non si sentiva mandato solo per amare
Dio, ma a farlo amare anche” e che “l’ultima parola pronunciata dal Santo, morto il
27 settembre 1660, è stata: Gesù!”. A chiudere questa mattina le celebrazioni dell’Anno
Vincenziano è stato il padre superiore generale Gregori Gay, ribadendo alla sala gremita
l’impegno verso i poveri “che dobbiamo chiamare – ha detto – per il proprio nome,
tutti, perché essi non sono anonimi, hanno le loro vite, la loro famiglia, sono figli
e figlie di Dio… la nostra carità è pratica”. “Continuiamo – ha concluso il padre
generale – in questa grande missione d’amore che è la nostra eredità”. Le celebrazioni
di chiusura dell’anno giubilare sono state l’occasione per la Famiglia Vincenziana
che conta duecentomila volontari in 52 Paesi di quattro continenti e 300 gruppi religiosi,
per rendere noti i progetti riguardanti l’acqua quale, pozzi e rifornimenti, promossi
nel corso dell’anno in Eritrea, Etiopia, Madagascar, Albania, Congo e Mozambico. (A
cura di Anna Villani)