Gemellaggio tra la diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro e il Patriarcato di Gerusalemme
Riscoprire l’essenza della fede e sostenere le comunità cristiane che vivono attorno
ai luoghi dove è nato e vissuto Gesù. E’ questo l’obiettivo per il quale è stato sottoscritto
il 25 settembre un gemellaggio fra la diocesi di Arezzo-Cortona-San Sepolcro e il
Patriarcato Latino di Gerusalemme. A firmare questo patto d’amicizia a nome delle
rispettive Chiese particolari, sono stati l'arcivescovo della diocesi toscana, Riccardo
Fontana, e il Patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal. Per capire quali sono state
le ragioni profonde che hanno portato alla nascita di questo gemellaggio, il primo
al mondo di questo genere, Federico Piana ha intervistato proprio mons.
Riccardo Fontana:
R. - Anzitutto,
la necessità dei cristiani della Chiesa madre di Gerusalemme che interpellano il mondo
intero con la loro storia sofferta, la difficoltà a rimanere nella Terra dove Gesù
è vissuto. C’è una difficoltà in più nel tempo che stiamo vivendo a rimanere in Gerusalemme,
questa è veramente una realtà complessa. L’altra ragione: perché proprio noi facciamo
il primo gemellaggio con il Patriarcato latino di Gerusalemme? Siamo l’unica diocesi
del mondo che porta il Santo Sepolcro nel suo stesso nome: Arezzo-Cortona-Sansepolcro.
Noi veniamo da una storia singolare bellissima. Due pellegrini, mille anni fa, Arcano
ed Egidio, tornando dalla Terra Santa si fermarono nell’Alta valle del Tevere, nel
luogo dove ora è Sansepolcro, e la nostra città è nata su un progetto teologico con
il senso della vita concepita come un pellegrinaggio e con l’accoglienza di tutte
le diversità.
D. - Mons. Fontana, come nasce quest’idea?
R.
- Entrando a Sansepolcro il popolo mi ha chiesto un legame particolare con la Terra
Santa. Ho un’antica frequentazione con la Palestina, mi è facile rapportarmi là, ho
amici, ho varie realtà che mi sono molto care, sono andato tante volte pellegrino
in Terra Santa. I legami c’erano, la richiesta del popolo, le ragioni dell’identità
della mia diocesi e, quindi, abbiamo preso il via e abbiamo fatto realizzare questa
cosa. Come primo gesto di apertura del gemellaggio doniamo una casa a una famiglia
di cristiani, che è stata cacciata dalla periferia di Gerusalemme con la violenza
e hanno perso l’abitazione degli avi. La diocesi ha fatto una grande colletta - come
la colletta di cui parla San Paolo - ed è venuto fuori il sufficiente per costruire
una casa e per assicurare borse di studio a due studenti universitari. (Montaggio
a cura di Maria Brigini)